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Tassi negativi, chi paga il conto di un’economia che non riparte

Le banche centrali, tra le quali la BCE, stanno spingendo i tassi negativi sempre più in basso: il conto lo pagano, soprattutto, i risparmiatori e chi non ha un lavoro.

5 Settembre 2016 09:45
financialounge -  BCE fondi pensione settore assicurativo tassi di interesse

Lunedì 29 agosto: all’asta del Tesoro i BOT a sei mesi vengono collocati per 6 miliardi di euro (a fronte di richieste per 9,03 miliardi) ad un tasso negativo di -0,236%. Giovedì 1 settembre: l’azienda petrolifera Saipem colloca sul mercato obbligazioni a 4,5 e 7 anni per un totale di un miliardo di euro (a fonte di richieste per 6 miliardi): il titolo a 4,5 anni è stato collocato ad un tasso del 3% (contro il 3,5-3,625% inizialmente previsto) mentre il titolo a 7 anni è stato offerto al 3,75% (rispetto alla forchetta 4,25% - 4,375% iniziale).

I due collocamenti sono solo alcuni degli esempi delle distorsioni che le politiche monetarie ultraespansive messe in atto dalle banche centrali (in particolare dalla BCE e dalla Bank of Japan) stanno producendo sul mercato obbligazionario. Distorsioni che hanno un conto da pagare e che ricade sulle spalle, soprattutto, dei risparmiatori, e dell’economia che non riesce a ripartire e, quindi, anche per chi non ha un lavoro. Scopriamo insieme perché.

Spingere al ribasso i tassi di interesse fino a perforare il muro del tasso negativo può essere una misura estrema e, forse, anche con valenze pratiche solo se mantenuta per periodi di tempo limitati e, soprattutto, riuscendo a produrre un miglioramento della crescita economica. Al momento, invece, di inflazione in Europa non c’è traccia e la crescita economica, già debole, sta dando sintomi di rallentamento. In questo contesto, economisti e analisti, continuano a ripetere che gli attuali tassi bassi (e in molti casi, negativi) dureranno per ancora molto tempo e che la BCE, con ogni probabilità, sarà costretta a prolungare il suo Quantitativ Easing oltre marzo 2017 e, addirittura, ad ampliarlo (in termini di importi e di titoli acquistabili sul mercato).

Ma chi paga il conto?

Nel breve periodo i risparmiatori, che per ricavare rendimenti più elevati, sono costretti ad aumentare il rischio a fronte di rendimenti comunque ridotti rispetto al passato (come, per esempio, quello di acquistare il bond di Saipem che ha un rating non investment grade, quindi di qualità inferiore a quello dei titoli di stato italiani).

Nel medio lungo periodo, invece, pagano il conto le compagnie assicurative e i fondi pensione: le prime potrebbero presto trovarsi a dover soddisfare rendite agli assicurati con tassi di interesse non più sostenibili attraverso l’acquisto dei nuovi titoli obbligazionari, mentre i fondi pensione potrebbero erogare assegni previdenziali integrativi molto inferiori alle stime iniziali (e, quindi, insufficienti a coprire le esigenze dei lavoratori che vanno in pensione). Non solo. Se i tassi di interesse sono bassi e, soprattutto, si ipotizza che restino su tali livelli per ancora molto tempo, la famiglia che deve decidere una spesa importante (per acquistare l’auto, per ristrutturare casa, per contrarre un mutuo ecc.) o l’impresa che deve valutare un nuovo investimento (macchinari, capannoni), non hanno nessuna fretta e possono rimandare la decisione: l’economia non riparte e il conto lo paghiamo tutti perché senza crescita non migliora il benessere e lo sviluppo economico e non si creano nuovi posti di lavoro.
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