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Quantitative easing: il dilemma di Draghi

L’uscita dal QE è forse un esercizio ancora più difficile di quello intrapreso 5 anni fa. Ma il capo della BCE ha mostrato di saper vincere sfide che sembrano impossibili.

24 Ottobre 2017 16:04
financialounge -  BCE Federal Reserve Mario Draghi quantitative easing tapering

A cinque e passa anni dall’ormai storico “whatever it takes” con cui salvò l’euro, un compito ancora più difficile si presenta a Mario Draghi: quello di disfare la tela del Quantitative Easing, lanciato tra le resistenze dei falchi germanici a marzo del 2015, senza rompere la rete di protezione che ha consentito all’economia di imboccare la strada di una ripresa costante e robusta. Le scommesse puntano sulla quantità delle mosse che la BCE annuncerà giovedì: abbasserà a 30 miliardi al mese gli acquisti mensili di titoli? In realtà quello che conta veramente è l’orizzonte temporale dello stimolo e della politica dei tassi zero. Se il mercato dovesse percepire che il paracadute verrà chiuso troppo presto o troppo bruscamente le conseguenze potrebbero essere dolorose e, secondo alcuni, riportare indietro di 5 anni l’orologio della storia.

Proprio ieri l’ufficio parlamentare di bilancio italiano ha pubblicato una simulazione secondo cui una nuova crisi da spread, causata dalla somma di un QE troppo brusco con le incertezze politiche legate alle elezioni, costerebbe solo all’Italia ben 22 miliardi di maggiori oneri sul debito. Il comunicato che verrà emesso a metà giornata del 26 ottobre da Francoforte sarà sicuramente pesato anche nella punteggiatura con il bilancino del farmacista, ma in conferenza stampa l’onere di trovare le parole e anche i silenzi giusti ricadrà tutto sulle spalle di Draghi. “Una parola sbagliata può distruggere mesi di lavoro,” ammonisce dalle colonne del WSJ Stefan Gerlach, ex vice governatore della banca centrale finlandese oggi economista di EFG Bank a Zurigo.

In realtà, esattamente come cinque anni fa, Draghi si sta avventurando in territorio inesplorato. Non lo aiuta più di tanto l’esempio della Federal Reserve americana, che il cammino del Quantitative Tightening, vale a dire il drenaggio della liquidità iniettata a migliaia di miliardi di dollari sul mercato negli anni del QE, lo sta appena intraprendendo, e non si sa con quali risultati. La domanda di fondo è: come reagiranno famiglie e imprese europee tenute a galla dai tassi zero di fronte anche alla semplice prospettiva che lo stimolo abbia un termine di scadenza?

Recentemente Commerzbank ha calcolato che dal 2009 in poi famiglie e imprese europee non hanno ridotto il livello aggregato di indebitamento, e il mercato si chiede come reagirebbero a un ambiente di tassi di interesse più elevati. Per far salire i tassi di mercato non serve che la BCE elevi i suoi tassi di riferimento, quello di rifinanziamento oggi a zero e quello sui depositi a -0,40. Il mercato anticipa, e se percepisce che il QE si avvicina a una fine prematura può spingere al rialzo i tassi, soprattutto sulla parte lunga della curva. Che però è quella che fa da riferimento per i prestiti delle banche.

Un altro problema per Draghi è che sul mercato di titoli da comprare ce ne sono sempre meno, e quindi diventa sempre più difficile un’estensione prolungata dello stimolo monetario. Insomma, una sfida non da poco, ma Draghi ha mostrato finora di essere molto ben attrezzato per riuscire nelle imprese che sembrano impossibili. La vecchia scuola del central banking dice che meno carte si scoprono e meglio è. In questo modo si lascia al mercato il problema di indovinare orizzonti temporali e quantità monetarie in ballo. E se il mercato si sbaglia, si fa sempre in tempo a correggerlo con dichiarazioni appropriate al momento opportuno. A patto che le carte siano state tenute ben coperte.
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