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Prezzo del petrolio in rialzo, vincitori e vinti

I prezzi del petrolio hanno perso l’8% dal picco di luglio ma le quotazioni potrebbero spingersi oltre 100 dollari nei prossimi mesi. Ecco le asset class che ne beneficeranno di più.

24 Agosto 2018 11:10

È un mercato dove domanda e offerta sono molto vicine. È questa la fotografia che fanno alcuni analisti del settore petrolifero alla luce dei numeri diffusi dall'Agenzia internazionale dell'energia (IEA), secondo la quale, a fronte di una previsione di domanda globale di petrolio per 99,1 milioni di barili al giorno quest'anno, l'approvvigionamento mondiale non andrebbe oltre i 98,8 milioni di barili giornalieri. A limitare l’offerta non solo il Venezuela (che sta diventando uno stato fallito) ma anche una potenziale interruzione delle forniture derivanti dalle sanzioni all’Iran mentre la domanda globale è in aumento.

L’ACCORDO DELL’OPEC DI GIUGNO NON È BASTATO


L'OPEC, insieme agli alleati non membri della Federazione, inclusa la Russia, ha raggiunto un accordo lo scorso mese per ridurre alcuni dei suoi tagli alla produzione, aumentando sostanzialmente la produzione di un milione di barili al giorno. La mossa, in parte, aveva lo scopo di compensare le perdite di offerta legate ai problemi economici in Venezuela, le interruzioni in Libia e le nuove sanzioni statunitensi sull'Iran.

PETROLIO WTI, RECORD DAL 2014


Tuttavia, la decisione dei principali produttori di petrolio di aumentare la produzione non ha causato un calo dei prezzi che, invece, sono saliti di un altro po’ dopo la decisione, con il benchmark statunitense West Texas Intermediate crude futures che il 29 giugno ha toccato i 74,15 dollari, il livello più alto dal novembre 2014. L'aumento della produzione "non è stato sufficiente a colmare il divario tra la domanda e l'offerta che si è sviluppata nell'ultimo anno e mezzo", afferma Leigh Goehring, managing partner di Goehring & Rozencwajg, una casa di ricerca specializzata sulle risorse naturali.

Aramco resta protagonista della finanza saudita anche se l'IPO è sfumata


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BRENT AI MINIMI DA TRE MESI


Sono passati circa 18 mesi da quando l'OPEC e i suoi alleati hanno attuato un patto per tagliare la produzione. Dopo il ritorno di alcune produzioni libiche all'inizio di luglio, i prezzi del petrolio hanno iniziato a muoversi nettamente in ribasso, spingendo il 16 luglio scorso il Brent al minimo di tre mesi a 71,84 dollari al barile. Una ulteriore pressione al ribasso l’ha fornita pure un funzionario degli Stati Uniti che ha fatto intuire che gli Stati Uniti avrebbero concesso alcune deroghe per le sanzioni sul petrolio iraniano. Inoltre le tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti sono aumentate, alimentando le preoccupazioni per la crescita economica e quindi per un calo della domanda di petrolio. Il tutto mentre c’e stato anche chi ha parlato di un possibile utilizzo di petrolio dalla Riserva strategica del petrolio degli Stati Uniti. Inoltre, tramite insistenti tweet, il presidente Donald Trump ha chiesto ai funzionari sauditi di pompare greggio a prezzi più bassi.

TUTTO RUOTA TRA DOMANDA E OFFERTA


Al netto di tutto questo (che finora nel loro insieme ha portato i prezzi del petrolio Brent da circa 80 dollari a 73 dollari) secondo gli analisti i fattori più importanti che influenzano i prezzi restano l'offerta e la domanda. E l'IEA prevede che la domanda globale di petrolio crescerà a 100,5 milioni di barili al giorno nel 2019, da 99,1 milioni quest'anno mentre l'Arabia Saudita, il più grande produttore dell'OPEC, avrebbe ormai poca capacità inutilizzata per compensare il gap di mercato.

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POSSIBILE QUOTA 100 DOLLARI A FINE ANNO


Uno scenario nel quale diversi analisti ritengono possibile che i prezzi del petrolio Brent arrivino a 100 dollari entro quest'anno. Allargando le previsioni all’intera platea degli addetti ai lavori, la probabilità di un greggio verso i 100 dollari a fine 2018 si attesta tra il 20% e il 30%. Ma in caso di rialzo del petrolio al di sopra degli 85 dollari nei prossimi mesi, chi ci guadagnerebbe e chi invece ci rimetterebbe?

FAVORITE LE BORSE DI CANADA E REGNO UNITO


In ambito azionario a livello complessivo i maggiori beneficiari sarebbero la borsa del Canada e quella del Regno Unito (i cui indici contemplano parecchi colossi energetici e minerari) e i titoli europei e statunitensi dell'energia. Al contrario accuserebbero contraccolpi in generale i listini della zona euro e del Giappone (paesi che importano molto petrolio) e i titoli della zona euro dei settori beni di consumo di prima necessità e i beni di consumo discrezionali (per via della riduzione del potere di acquisto delle famiglie per il rincaro della benzina).

HIGH YIELD USA CON IL VENTO IN POPPA


A livello obbligazionario ne beneficerebbero il settore high yield USA (che vanta al proprio interno molti emittenti shale oil e MLP- master limited partnerships) e, più in generale, le obbligazioni dei paesi esportatori di petrolio. Al contrario i bond dei paesi importatori di greggio sarebbero penalizzati (in particolare la Turchia) e pure i titoli della zona euro high yield. Nel segmento valutario, infine, in rialzo dovrebbero muoversi le divise dei paesi forti esportatori di greggio (corona norvegese, sterlina inglese, dollaro canadese e rublo russo) e penalizzate le monete dei paesi importatori (lira turca e rupia indiana) oltre che il dollaro statunitense per via di un possibile rallentamento del ciclo economico.
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