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Poste Italiane e Ferrari, cosa rivelano le ultime IPO italiane

28 Ottobre 2015 11:04
financialounge -  Ferrari IPO italia Piazza Affari Poste Italiane
Le IPO (Initial public offering, offerta iniziale di acquisto al pubblico) di Poste italiane (che ieri ha esordito in Piazza Affari chiudendo a -0,7% rispetto al prezzo di collocamento) e Ferrari hanno fatto scrivere, e continuano a farlo, molto. Ma c’è un aspetto che forse è passato sotto traccia e che, invece, merita di essere sottolineato: la valorizzazione delle aziende in Borsa come traino dell’economia del paese. Cerchiamo di spiegarlo.

A settembre la capitalizzazione del mercato azionario della zona Euro si attestava a 5.595 miliardi di euro contro i 6.012 miliardi di agosto. All’interno dell’Eurozona la capitalizzazione di Piazza Affari era pari al 10% del totale (contro il 12% che vantava nel 2007, l’anno a partire dal quale si può considerare lo scoppio della crisi attuale dei mercati): la capitalizzazione della Francia era invece al 30,9% (contro il 22,4% del 2007) e quella della Germania al 26,3% (rispetto al 28,9% di 8 anni fa). A livello di valore assoluto, la capitalizzazione complessiva di Piazza Affari a fine settembre ammontava a 557 miliardi di euro: benché si tratti di un valore in 44 miliardi in più rispetto a 12 mesi fa, resta sempre schiacciato al di sotto del 34% del PIL.

Una percentuale molto distante dai grandi paesi industrializzati ma anche persino rispetto ai competitor ritenuti meno insidiosi sul piano industriale come, per esempio, la Spagna che, con sole 200 aziende quotate sul listino di Madrid vanta comunque una capitalizzazione di Borsa superiore al 50% del PIL del paese iberico. Il problema è che in Italia molte aziende di primaria importanza (come, per fare qualche esempio, Ferrero, Barilla, Armani, Dolce & Gabbana, Bracco) e della grande distribuzione (Conad, Coop, Esselunga) o per ragioni familiari (di governace e di controllo) o per motivi di come sono organizzate a livello manageriale, preferiscono evitare la quotazione in Borsa. Un vero peccato perché, secondo lo studio di diversi esperti (tra i quali anche economisti e docenti dell’Università Bocconi di Milano) l’ampliamento del listino azionario italiano avrebbe delle ricadute positive sul PIL e sull’occupazione.

Potrebbe far aumentare la ricchezza del paese di circa un punto percentuale in più all’anno e far calare la disoccupazione al di sotto del 7%: stime basate sull’analisi delle aziende che si sono quotate in Borsa negli ultimi 10 anni che hanno saputo crescere del 10% all’anno in termini di giro d’affari e del 5% all’anno (contro lo 0,9% della media nazionale) in termini di occupazione. Ecco perché la quotazione di Poste Italiane e Ferrari (e, quella possibile nel 2016, di Ferrovie dello Stato, Technogym, Valvitalia, Versace, Eataly, Sia, Enav, Banco popolare di Vicenza e Veneto Banca) può contribuire a invertire la tendenza e a trainare l’economia reale del paese.
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