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Mercati emergenti, i tre fattori che giocano contro un recupero a breve

Rialzo dei tassi USA, rafforzamento del dollaro americano e implicazioni dei dazi USA sul commercio globale continuano ad esercitare una forte pressione sugli asset dei mercati emergenti.

12 Settembre 2018 09:33

Chi avesse investito diecimila euro a inizio anno nell’azionario mercati emergenti se ne ritroverebbe 9.150 con una perdita dell’8,5%. Perdita che ammonterebbe addirittura al -14% se l’investimento fosse stato effettuato a fine gennaio. Anche con il debito emergente le cose non sarebbero andate molto meglio: un fondo obbligazionario Paesi emergenti avrebbe fatto perdere in media il 6,5% da inizio anno, ovvero poco meno di cinque punti percentuali da fine gennaio.

RIFLETTORI SULLA FED


Adesso i riflettori sono puntati sulla Federal Reserve che il prossimo 26 settembre dovrebbe aumentare i tassi americani di un quarto di punto mentre continua il dibattito su un ulteriore rialzo a dicembre (eventualità, quest’ultima, che il mercato stima attualmente nei prezzi al 70% di probabilità). Se è vero che i paesi emergenti rimangono sotto pressione, gli investitori continuano a ricercare le differenze tra le diverse situazioni dei singoli paesi al fine di individuare quelli vincenti e quelli destinati a soffrire di più.


MESSICO E RUSSIA NON SONO COME TURCHIA E ARGENTINA


Per esempio, appare già abbastanza evidente che a fronte di paesi come Messico e Russia che mostrano una maggiore resilienza ve ne sono altri, come la Turchia, il Venezuela e l’Argentina che si trovano in una situazione estremamente delicata.

LE SPINE DI BUENOS AIRES


A proposito di Argentina, mentre la sua valuta (il peso) ha perso metà del proprio valore rispetto al dollaro e all’euro da inizio anno, le riserve internazionali detenute da Buenos Aires sono calate di 10 miliardi a seguito dei continui deflussi di capitali stranieri. Inoltre mentre la banca centrale ha alzato il tasso di riferimento portandolo al 60% (senza peraltro riuscire a ripristinare la fiducia degli operatori di mercato) si prevede che l’inflazione possa balzare al 40%.

Nessun contagio dai mercati emergenti, i fondamentali ci sono


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CDS A 5 ANNI ALL’8%


“Prevediamo ora che la crescita del PIL argentino diminuirà del 2% nel 2018 e che, nella migliore delle ipotesi, sarà leggermente positiva nel 2019. Il governo ha richiesto che vengano anticipati i fondi stanziati nell’ambito del programma triennale Standby, ma finora non sono giunte conferme ufficiali in merito dal FMI. Inoltre, sono stati ridotti gli obiettivi relativi al deficit fiscale per il 2019. Notizie che non hanno tranquillizzato affatto i mercati con i CDS (credit default swap, i contratti che gli investitori utilizzano per assicurarsi dal default dell’emittente, ndr) a cinque anni hanno superato gli 800 punti base (8,00%)” specificano, nell’ultimo Weekly Market Review, gli esperti di AMUNDI.

SECONDO SEMESTRE PIÙ DEBOLE


I quali, alla luce dei dati relativi ai diversi paesi emergenti nel primo semestre del 2018, sono persuasi che il secondo semestre dell’anno sarà più debole del previsto. Una convinzione la loro motivata anche dall’aggravarsi di alcuni fattori che continuano a giocare a sfavore dei mercati emergenti. Infatti, mentre il contesto si è reso più complicato per la graduale riduzione della liquidità in eccesso sul mercato da parte delle banche centrali dei principali mercati sviluppati, ai rischi globali/geopolitici se ne sono aggiunti altri specifici (come quello che ha interessato la Turchia).

TIMORI PER UN’ESCALATION DEI DAZI


Inoltre un’escalation delle guerre commerciali comporterebbe inevitabili ripercussioni negative sul commercio mondiale, che rimane uno dei principali motori di crescita per i paesi emergenti nel loro complesso. Il tutto senza dimenticare che un rialzo dell’inflazione provocato dall’aumento dei dazi potrebbe potenzialmente acuire la politica monetaria restrittiva della Federal Reserve provocando un ulteriore aggravio agli interessi in dollari da pagare da parte dei paesi in via di sviluppo più indebitati nella valuta di Washington e un allungo del biglietto verde nei confronti delle valute dei paesi emergenti.

Perché gli investitori restano nervosi sulla situazione turca e su quella italiana


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POLITICHE MONETARIE PIÙ RESTRITTIVE


Movimenti che tenderebbero inevitabilmente a spingere la maggior parte delle banche centrali dei paesi interessati ad adottare politiche monetarie più restrittive o ,comunque, meno accomodanti. “I paesi destinati a essere maggiormente penalizzati sono quelli più esposti ai rischi finanziari esterni, che hanno le valute più liquide e le cui politiche monetarie sono soggette a numerosi vincoli. I paesi con un modello economico più orientato verso l’interno e con margini fiscali sufficienti sono invece quelli meglio posizionati per superare questo periodo difficile” puntualizzano infine gli esperti di AMUNDI.
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