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Melt up: occasione da cogliere o rischio da evitare?

Se ne parla parecchio, è il rischio, ma forse anche l’opportunità da cogliere, di un mercato che sale soprattutto perché gli investitori hanno paura di perdere il treno e non hanno molte alternative

di Redazione 23 Aprile 2019 10:20

C’è un’espressione che sta cominciando a circolare con una certa frequenza nei commenti degli ultimi giorni per indicare il principale rischio che possono correre i mercati in quel che resta del 2019: ‘meltp up’. L'ha usata un paio di giorni fa in una column su Bloomberg Mohamed A. El-Erian, il capo degli economic adviser di Allianz, ma anche il numero uno di BlackRock, Larry Fink, in un’intervista a CNBC. Un melt up è il contrario di un melt down, che indica un mercato che si scioglie come neve al sole e affonda. Il melt up invece somiglia a un sufflè al cioccolato, che si gonfia nel forno pur non avendo una struttura solida che lo sostenga. A guardare gli indici delle principali borse globali sembrerebbe che il melt up ci sia già stato, da inizio anno Wall Street è in guadagno del 16% e l’Europa poco meno. Ma se si vanno a vedere altri indicatori si direbbe il contrario. Al rally iniziato a gennaio sono mancati finora i volumi, decisamente bassi, con una volatilità in caduta verticale.

BUYBACK E TATTICHE DI PROTEZIONE DAI ROVESCI


Altro grande assente sono stati gli investitori istituzionali, che hanno approfittato nel primo trimestre del rally per vendere, non per comprare. Nel primo trimestre i fondi azionari americani hanno registrato deflussi netti per quasi 40 mld di dollari. Secondo alcuni un fattore potente che ha sostenuto il mercato sono stati i buyback. I dati di Factset mostrano che sempre nel primo trimestre sono stati vicini ai 230 mld di dollari solo sul mercato americano, in aumento del 60% rispetto a un anno prima. Poi c’è un fattore tecnico, segnalato da Stocknews: gli investitori istituzionali non solo non hanno comprato il rally e hanno venduto, ma si sono anche coperti contro possibili rovesci, e lo hanno fatto vendendo opzioni call e comprando put. E questo ha costretto i broker di riferimento a bilanciare le posizioni, comprando azioni. Quindi alla fine un primo trimestre in rally caratterizzato dall’assenza degli investitori e sostenuto da motivi tecnici.

Buyback, la ‘droga’ da cui dipende Wall Street


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LA PAURA DI RESTARE FUORI DALLA FESTA


Ma poi ad aprile qualcosa è cambiato. Secondo Lipper Financial nella settimana al 10 aprile si è registrato il primo flusso netto positivo dell’anno sui fondi azionari americani, solo 4,3 mld di dollari, ma comunque un’inversione di tendenza. Accompagnata da una serie di report che segnalano un ritorno di positività da parte degli investitori finora rimasti scettici sul rally. E qui torniamo a El-Erian e a Fink e ai loro timori di melt up, che entrambi definiscono un rischio, ma vedono anche come l’apertura di uno spazio consistente al rialzo che potrebbe durare per buona parte dell’anno e portare i principali indici azionari ben oltre i massimi segnati tra fine settembre e inizio ottobre 2018. Entrambi concordano nell’assegnare un ruolo importante alle banche centrali, a cominciare dalla Fed. Se non arrivano altre inversioni a U e le politiche continuano a restare estremamente accomodanti la prospettiva di melt up può prendere consistenza e consolidarsi, con un effetto noto come FOMO, ‘fear of missing out’, che tradotto vuol dire paura di restare fuori (dalla festa) da parte degli investitori.

LE AZIONI AMERICANE NON SONO POI COSI' CARE


Il problema con il melt up è appunto che, come il sufflè al cioccolato, manca di struttura, lo tiene in piedi l’euforia e la paura di perdersi il rialzo, e quindi è destinato prima o poi a finire nel suo opposto. Ma fra il prima e il poi può esserci di mezzo il mare. Nel grande rally degli anni '90 i primi allarmi sul rischio di un mercato che correva troppo furono lanciati nel 1996 e si intensificarono nel 1998. Il melt down arrivò solo nella prima metà del 2000 e chi uscì troppo presto si perse il meglio. Intanto va avanti la stagione delle trimestrali. In America quelle uscite finora puntano a una contrazione intorno al 4% degli utili per azione rispetto a un anno prima, sarebbe il primo declino dal secondo trimestre 2016. In Europa le stime restano invece per un segno più, anche se gli utili nel vecchio continente hanno corso certamente molto meno. Le azioni americane restano un po’ care ma non troppo, con un price/earning a 16,8 volte, mentre la media degli ultimi 5 anni è 16,4. Allungando lo sguardo fino all’inizio degli anni '90 sono addirittura un po’ a sconto.

BOTTOM LINE


La famosa regola numero 1 di Warren Buffett è notoriamente ‘mai perdere soldi’ mentre la seconda recita ‘non dimenticare mai la regola numero 1’. La domanda è: nella categoria ‘perdere soldi’ rientra anche il mancato guadagno di essersi persi un ‘melt up’?
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