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Oggi non manca liquidità sui mercati, ma va dosata

Archiviata una settimana finanziaria innervosita da problemi di liquidità negli Usa dovuti a fattori tecnici, ma che hanno risvegliato fantasmi del passato. Un falso allarme rosso può fare grossi danni prima di rientrare

di Redazione 23 Settembre 2019 09:42

Puoi avere asset per miliardi di miliardi, ma se non sono liquidi e non hai in cassa i soldi per pagare una scadenza, anche di poca entità, fallisci. E’ una legge dura a cui non si scappa, dai banchieri fiorentini Peruzzi e Bardi del XIV secolo alla Lehman Brothers di cui qualche giorno fa è ricorso l’undicesimo anniversario della bancarotta. Quando fallì Lehman aveva asset per 600 miliardi di dollari ma la cassa vuota. Il liquidatore James Giddens nei 10 anni successivi riuscì a rimborsare pienamente tutti i titolari di crediti assistiti da garanzie e quasi al 40% quelli senza, affermando che il fallimento “avrebbe dovuto essere evitato”. Avrebbe potuto farlo il Tesoro americano, una risorsa non disponibile ai Peruzzi e ai Bardi sette secoli prima, ma decise che non era il caso. Comunque la liquidità resta un fattore chiave, e quando scarseggia o sembra scarseggiare, come successo settimana scorsa sul mercato interbancario Usa, suonano campanelli d’allarme.


LIQUIDITÀ ABBONDANTE NEGLI USA MA IN PARCHEGGIO OBBLIGATO


Perché scarseggiava? Per una serie di fattori tecnici, come importanti scadenze fiscali, il Tesoro che ha venduto in asta molti più titoli di quelli in scadenza, festività giapponesi che hanno tenuto fuori dal mercato le banche di quel paese, e anche lo strappo del petrolio dopo l’attacco ai sauditi. I tassi overnight sono schizzati e la Fed è intervenuta ripescando un vecchio arnese messo in cantina con il QE, il pronti contro termine, che prevede l’acquisto temporaneo di titoli e la conseguente immissione di cash nel sistema. I paragoni con il 2008 sono sbagliati. Allora le banche non si fidavano una dell’altra neanche per prestare overnight, e la liquidità scarseggiava davvero. Oggi ce n’è ancora in abbondanza, nonostante il QE sia finito nel 2014 e i tassi dal 2015 siano saliti da zero al 2,5%, per poi ridiscendere al 2% dopo gli ultimi tagli di Powell. Le banche americane ne hanno per 1.300 miliardi di dollari parcheggiati alla Fed. Molto meno del picco di quasi 3.000 miliardi all’acme del QE nel 2014, ma sempre tanti. Il problema è che il grosso, circa 1.000 miliardi, non lo possono toccare, perché in base alle nuove regole adottate dopo la crisi devono tenerlo pronto in caso esploda un’altra Lehman.


NESSUNO SA CON PRECISIONE QUALE SIA LA DOSE GIUSTA


A occhio un cuscinetto di 300 miliardi per chiudere i conti di fine giornata delle banche dovrebbero bastare. Ma in realtà, come scrive sul FT Gillian Tett, nessuno lo sa con precisione. Nella storia non c’era mai stato prima un QE che avesse ‘creato’ migliaia di miliardi di dollari di liquidità, e mai c’è mai stato il contrario, vale a dire il tentativo di rimettere il dentifricio della liquidità dentro il tubetto che va sotto il nome di Quantitative Tightnening, fatto di non reinvestimento dei titoli a scadenza e accompagnato dal rialzo dei tassi. E’ come se il medico avesse prescritto a un paziente in profonda depressione una cura intensiva di triplo scotch per recuperare un po’ di euforia e poi dopo qualche anno gli avesse tolto la bottiglia da un giorno all’altro. Di whiskey ne rimane disponibile in abbondanza, ma non si può toccare, deve restare in cantina pronto all’uso in caso di nuova depressione. Forse è arrivato il momento di consentire al paziente qualche bicchierino ogni tanto. Infatti c’è chi ipotizza che sia in arrivo entro l’anno un ‘mini QE’, sotto forma di accesso limitato alla liquidità parcheggiata in Fed. Il 18 settembre il capo della Fed Powell, quando ha annunciato il secondo taglio dei tassi, ha anche lasciato intendere che forse si può fare.

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IN EUROPA PROBLEMA OPPOSTO, ECCESSO DI LIQUIDITA’ CHE NON SA DOVE ANDARE


Sarebbe una misura simmetrica al recente tiering con cui Draghi ha attenuato l’impatto negativo dei tassi sottozero dei fondi depositati dalle banche in Bce. Il problema è che parcheggiano in Bce più liquidità di quanto dovrebbero, un eccesso misurato in un centinaio di miliardi a testa per le sole BNP e DB, essenzialmente perché non sanno cosa farci, con i bond governativi che rendono sottozero e le imprese sfiduciate che non ‘tirano’ credito. Il problema del bartender europeo è l’opposto di quello del suo collega americano, deve convincere gli avventori almeno ad assaggiare il whiskey o il gin della casa, anche perché è gratis, anzi, con i tassi negativi, ti pagano anche per bere.


BOTTOM LINE


Sicuramente i rischi finanziari del settembre 2019 sono completamente diversi da quelli dello stesso mese di 11 anni fa, quando il sistema si inceppò per la liquidità inghiottita dal buco nero dei mutui subprime. Oggi il rischio sembra più un errore tecnico che mercato e investitori potrebbero percepire come allarme rosso, con conseguenze pesanti prima di capire che era solo un falso allarme. Più che all’esperienza dei timonieri siamo affidati alla loro capacità di ‘leggere’ le situazioni, sperando che non scambino una nuvoletta per un uragano o viceversa.
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