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La nave europea verso sette mesi cruciali, ci vorrebbe un Draghi al timone

Prima la Brexit a fina marzo, due mesi dopo le elezioni del Parlamento, una dura prova per la tenuta della struttura comunitaria. Il capo della Bce unico leader a godere di un capitale indiscusso di credibilità

22 Ottobre 2018 09:48

La vecchia Europa di Juncker e Merkel si avvia su un viale del tramonto lungo ancora sette mesi. Dopo il 26 maggio 2019 quando si sapranno i risultati delle elezioni del Parlamento Europeo niente probabilmente sarà più come prima, ma neppure è pensabile un ritorno al passato. Di Mitterrand, Kohl e Delors all’orizzonte non se ne vedono. Ma non si vede neanche un movimento sovranista continentale capace di catalizzare un consenso maggioritario e capace di provare a rifondare l’edificio comunitario. Probabilmente dal voto di maggio non usciranno vincitori e bisognerà trovare un compromesso su una piattaforma minima di riforme dei trattati che restituisca un po’ di sovranità alle nazioni su alcuni temi particolarmente sentiti, come il controllo delle frontiere, oppure provi a fare un passo avanti verso una maggiore integrazione che preveda la condivisione dei rischi oltre che dei doveri contabili. Di certo, dall’uscita di scena ormai 15-20 anni fa di Schroeder, Chirac e Tony Blair, il deficit di leadership è desolante, con un’unica solitaria eccezione che si chiama Mario Draghi. Il quale, anche se lo negherebbe sotto tortura, sempre più si prende la scena politica.

MAI INVESTITO DALLA POLEMICA SOVRANISTA.


Come è successo giovedì scorso, quando è intervenuto al vertice di Bruxelles lanciando ai leader europei un chiaro ammonimento, rivolto anche, ma non solo, all’Italia: mettere in discussione le regole sottoscritte da tutti può peggiorare le condizioni finanziarie dell’Unione e danneggiare la crescita. Ha anche aggiunto, secondo quanto sapientemente fatto trapelare su Bloomberg, che le prospettive economiche restano positive ma sono diventate un po’ meno brillanti, individuando tra i rischi principali la Brexit e un’escalation delle guerre commerciali, i cui effetti si sono già fatti sentire sulla fiducia degli investitori. Tornando alle regole europee, ha sottolineato che minarne la validità può comportare rischi elevati per tutti gli attori: le regole vanno rispettate nell’interesse di tutte le parti, soprattutto quelle più deboli. Sicuramente un discorso politico. Da notare come la polemica sovranista, che di solito non risparmia critiche anche violente ai leader europei ritenuti pro-establishment, non hanno mai investito Draghi, neppure da parte italiana.

EURO PIU’ POPOLARE DEL GOVERNO EUROPEO.


Questa settimana Draghi parla ancora, questa volta da capo della BCE a conclusione del board in programma giovedì. Vediamo se si spinge ancora più avanti nel ruolo di advisor autorevole dei leader europei. A leggere dentro le righe di quello che ha detto a Bruxelles si può notare che pur affermando che la validità le regole europee sottoscritte da tutti non va minata, non ha aggiunto che quelle regole sono ‘irreversibili’, termine che invece ha utilizzato in passato a proposito della moneta unica. Si può anche notare che secondo l’ultimo sondaggio europeo, molto visibile nei giorni scorsi sulle prime pagine, il tasso di approvazione per l’euro, anche in Italia, è largamente maggioritario e di molto superiore al tasso di approvazione per l’Unione Europea, termine che evidentemente non viene interpretato come il processo storico di integrazione, ma come governo europeo. Il 26 maggio a Draghi mancheranno poche settimane alla scadenza del suo mandato alla BCE subito dopo l’estate. Si può immaginare che dopo aver salvato l’euro abbia un ruolo importante nella rifondazione dell’Unione? Gira l’idea che sarebbe la figura ideale per presiedere una Commissione come garante sia delle forze più conservatrici che di quelle più contestatrici? Magari se non da presidente come super-ministro delle Finanze.

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IL MACIGNO BREXIT A DUE MESI DALLE ELEZIONI.


Prima di maggio l’altra data cruciale è quella del 29 marzo, quando Londra e Bruxelles devono raggiungere l’accordo di divorzio. Una Brexit soft che salvi la sostanza dell’appartenenza storica, geografica, economica e culturale della Gran Bretagna all’Europa potrebbe essere la dimostrazione che i trattati si possono anche riscrivere nell’interesse di tutte le parti e non debbano per forza essere stracciati se non piacciono a qualcuno, come faceva ottant’anni fa un signore coi baffi. Un divorzio hard, con liti sull’affidamento dei figli, sul patrimonio e anche sul cane, che si trascinasse per anni davanti a tribunali internazionali, sarebbe un viatico sciagurato e velenoso in piena campagna elettorale europea. Forse non a caso proprio Draghi a Bruxelles ha messo la Brexit in cima alla lista dei rischi, davanti a quello della guerra dei dazi. In Italia si può invece prevedere che il tormentone della manovra continui, probabilmente anche oltre l’approvazione della legge di Bilancio con i decreti attuativi delle misure che richiederanno settimane se non mesi. Ad accompagnarlo il tango dello spread, che paradossalmente potrebbe tornare anche a restringersi dopo il downgrade stra-scontato di Moody’s, ma solo per restare appeso come una spada di Damocle sulla testa di politica ed economia italiana e anche europea.

BOTTOM LINE


Da qui a maggio la rotta dell’investitore globale non potrà che avere come bussola l’Europa, tra la Scilla della Brexit a marzo a Cariddi delle elezioni a maggio. E’ vero che la prima economia del mondo viaggia al 4% con Wall Street tutto sommato abbastanza stabilizzata vicino ai massimi e che la seconda, quella cinese, rallenta a un rispettabilissimo 6,5% di crescita annua. Ma è anche vero che l’economia e la finanza europee sono troppo grandi perché un serio deterioramento delle condizioni non abbia effetti sul resto del pianeta.

 
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