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Brexit

International Editor’s Picks – 09 gennaio 2017

9 Gennaio 2017 09:55
financialounge -  Brexit donald Trump International Editor's Picks Matteo Renzi settore bancario tassi di interesse Theresa May USA
Le tre R che aiuteranno le banche
Normalmente la carestia dura sette anni, ai quali ne seguono altrettanti di vacche grasse. Lo scrive l’Economist notando che gli anni di vacche magre subiti dalle banche globali sono iniziati a febbraio del 2007, quindi siamo a quota 10. Forse è arrivata l’ora del riscatto. E elenca tre R che sono a favore di questa tesi. La prima è la R di rates, i tassi di interesse che sulla parte lunga della curva hanno finalmente cominciato a salire con decisione, e che costituiscono la fonte principale del reddito delle banche visto che il profit arriva dai margini. La seconda R è quella di regulations, le regole che come un cilicio sempre più stretto sono state imposte alle banche in tutto il mondo ma che ora, sempre secondo il settimanale, dovrebbero aver toccato il picco, e possono solo fare marcia indietro. Meno regole vuol dire meno capitale da accantonare per far fronte ai rischi sistemici, e quindi più capitale da mettere al lavoro per portare a casa il profit. La terza R infine è quella di returns, il ritorno appunto sul capitale impiegato, che si trasforma in dividendi per gli azionisti e in prezzi più alti per i titoli bancari quotati in Borsa. Certo non tutte le banche sono uguali, sono rimaste sacche di debolezza in Germania, Italia e anche USA, ma il grosso del sistema sembra pronto alla riscossa. Resta una C, la trappola in cui i bankers devono stare attenti a non cadere, sta per complacency e vuol dire autocompiacimento. Accontentarsi può essere pericoloso.

I falsi allarmi del 2016 sull’economia USA
L’anno che si è appena chiuso non è stato solo quello delle catastrofi annunciate e non avvenute: Brexit, elezione di Trump, sconfitta di Renzi. È stato anche l’anno dei falsi allarmi regolarmente smentiti sulla salute dell’economia USA. Li elenca puntualmente in un’analisi il WSJ. Un anno fa di questi tempi molti indicatori puntavano a una possibile recessione: azionario in caduta, rallentamento nella creazione di occupazione, utili societari in caduta che faceva parlare di ‘earning recession’, lavori temporanei in stallo, decelerazione delle vendite di auto. Un anno dopo tutte queste luci arancioni lampeggianti sono diventate verdi. Negli ultimi 10 trimestri l’economia ha segnato espansione, e la segnerà anche in quello appena chiuso, le assunzioni si sono stabilizzate con il tasso di disoccupazione ai minimi da nove anni. E i timori di recessione sono rientrati. Secondo le stime degli economisti di J.P. Morgan Chase la possibilità di un arretramento della crescita oggi sono al 23%, rispetto al 37% stimato ad agosto. Migliori ancora le stime degli economisti interpellati regolarmente dal giornale, che a luglio stimavano una recessione nei 12 mesi a venire al 22% e ora sono scesi a un modesto 17%.

Theresa & Donald?
Una volta era Maggie & Ronald, la coppia più in sintonia d’occidente degli anni Ottanta. Ora sarà la volta di Trump e della May? Il FT segnala manovre di avvicinamento della prima ministra britannica che ha spedito a Washington i suoi capi di staff Fiona Hill e Nick Timothy per preparare un incontro tra i due leader il prima possibile dopo l’entrata ufficiale in carica del nuovo presidente americano il 20 gennaio, si parla di febbraio. Sembra che la May abbia provato a organizzare una puntata a Washington anche prima del giuramento del nuovo capo della Casa Bianca, ma abbia incontrato un’irremovibile opposizione da parte del presidente uscente Obama. Una delle ragioni per cui Theresa è così ansiosa di vedere The Donald è sicuramente il fatto che il presidente eletto americano finora ha mostrato di preferire come interlocutore il suo amico Nigel Farage, l’ex leader anti-EU dell’Ukip leader. I segnali di fumo che Londra manda a Washington sono comunque inequivocabili, come la presa di distanza dalle posizioni critiche su Israele del segretario di Stato in uscita John Kerry, certamente non condivise da Trump. Di sicuro il primo punto che la May sottoporrà a Trump sarà l’idea di un accordo di scambio post Brexit con gli USA.
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