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L'inflazione è una bussola rotta? Navigazione a rischio delle banche centrali

L’inflazione è la chiave per tutte le decisioni monetarie, ma quella misurata oggi non registra abbastanza l’impatto della rivoluzione tecnologica, con rischi elevati. Molto urgente un check degli strumenti di bordo

di Redazione 20 Maggio 2019 10:31

Che cos’è l’inflazione? Prendiamo per buona la definizione di Investopedia: è la misura quantitativa della crescita media dei prezzi di un paniere selezionato di beni e servizi in un arco di tempo determinato, tipicamente un mese o un anno, espressa in percentuale, e indica la diminuzione del potere d’acquisto della moneta in cui i prezzi di quei beni e servizi sono denominati. La deflazione è il contrario. L’inflazione è un numerino fondamentale per determinare il valore reale di qualsiasi cosa. Prendiamo il Pil, il reddito creato da un’economia. Il numero che leggiamo nei titoli di giornale misura in percentuale la crescita ‘reale’, vale a dire, depurato dall’aumento dei prezzi . Quasi nessuno pubblica o parla mai del Pil nominale, vale a dire lo stesso calcolo ma senza l’inflazione. Nel 2018 il Pil americano "reale" è cresciuto del 2,9% ma la crescita nominale, quindi senza sottrarre l’inflazione, è stata del 5,2%. Il numerino dell’inflazione non serve solo a calcolare la diminuzione del potere d’acquisto della moneta, è usato praticamente per qualunque cosa, dall’aggiustamento delle retribuzioni al costo della vita fino alle decisioni sui tassi di interesse delle banche centrali, che sono il punto di riferimento per l’economia e la finanza del pianeta.

L’ALLARME DI GREENSPAN UN QUARTO DI SECOLO FA


E se questo magico numerino dell’inflazione fosse sbagliato perché è sbagliato il modo di calcolarlo? La domanda non è nuova, l’aveva fatta in una audizione davanti al Congresso Usa un quarto di secolo fa nientemeno che l’allora capo della Fed Alan Greenspan, e si era risposto che secondo lui l’inflazione poteva essere sovrastimata dal Consumer Price Index di un punto percentuale se non addirittura di due. Il Congresso prese sul serio il capo della Fed e nominò una commissione ad hoc, che arrivò alla conclusione che effettivamente nel 1996 l’inflazione misurata dal Cpi era stata sovrastimata di oltre 1 punto e di 1,3 punti negli anni precedenti. Da allora il Bureau of Labor Statistics ha fatto una serie di correzioni per ottenere un dato più accurato. Ma c’è chi crede che il problema continui a esistere e anzi si sia aggravato a seguito della rivoluzione tecnologica e digitale. Qualche giorno fa sul WSJ Andy Kessler ha calcolato che un’inflazione sbagliata per eccesso di due punti l’anno dal 1989 vorrebbe dire un Pil americano "reale" a 26mila miliardi di dollari, quasi un terzo più grande della stima corrente di circa 20mila miliardi.

LA RIVOLUZIONE DIGITALE HA AUMENTATO IL POTERE D’ACQUISTO


L’argomento di Kessler e altri è che l’attuale modo di calcolo dell’inflazione non tiene conto dell’effetto sostituzione della rivoluzione tecnologica, che ha soppiantato e abbattuto il costo di una serie di beni e servizi riducendo il costo della vita e aumentando il potere d’acquisto. L’esempio classico è lo smartphone, un oggetto che ha un costo all’ingresso di un centinaio di dollari e un costo di gestione di qualche decina ma racchiude una serie di servizi e utilità che nella vecchia economia sarebbero stati molto più costosi: è il nostro giornale, la nostra tv, il nostro libraio, il nostro stenografo, segretario, personal shopper e trainer, la nostra discoteca, il nostro broker e la nostra banca, il nostro metereologo e astrologo … Ma in termini di aumentato potere d’acquisto tutto questo non viene stimato dal Cpi. Il problema è diventato ancora più complicato da quando le banche centrali del globo hanno adottato un target di inflazione dichiarato, quasi tutte intorno al 2%, per decidere il livello del tasso d’interesse.

GLI AMERICANI CERCANO LA RISPOSTA NEI BIG DATA


E’ stato un processo graduale, iniziato nei primi anni 90 in Nuova Zelanda, Australia e Regno Unito e poi diffuso in Giappone, America ed Europa a seguito della crisi del 2008-2012. Se il metodo di calcolo dell’inflazione non è corretto, allora anche la bussola delle banche centrali è tarata male, e potrebbe far pilotare la flotta delle economie globali nella direzione sbagliata, magari contro una scogliera. Il tema è in agenda, a cominciare dalla Fed americana, che sta cominciando a chiedersi se ancorare a un numero su cui pesa qualche dubbio la politica monetaria della nave ammiraglia sia giusto. Una volta misurare l’inflazione era semplice. Si spediva la nonna nel supermercato con il suo carrello e si confrontava lo scontrino alla cassa con quello del mese prima: la differenza era l’inflazione. Ora il Bls americano sta cambiando sistema e invece di attingere informazioni dai prezzi del supermercato comincia a usare i big data. I primi risultati dei ricercatori al lavoro dicono che le statistiche ufficiali tendono a sovrastimare l’inflazione e sottostimare gli aumenti di produttività rispetto a quello che indicano i big data. Il confronto tra Cpi ufficiale e indice corrispondente dei prezzi online dice la stessa cosa, come mostra il grafico qui sotto.

INDICE USA PREZZI AL CONSUMO (ROSSO) E PREZZI ONLINE (BLU) A CONFRONTO



FONTE: Austan Gosbee and Peter Klenow

BOTTOM LINE


Forse le economie stanno crescendo di più di quello che dicono i dati. E forse i prezzi delle azioni a Wall Street e di altri asset chiave in giro per il mondo non sono così cari come sembrano. E forse non è così vero che il potere d’acquisto della classe media è rimasto fermo agli anni 70. Forse. Il vero problema è la precisione della bussola delle banche centrali del globo, perché se funziona male è un guaio per tutti.
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