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L’India conferma che i mercati emergenti non sono affatto uguali

Mentre Turchia e Argentina sono alle prese con pesanti crisi valutarie e la Cina affronta un pericolo di rallentamento, l’India ad agosto è cresciuta ancora.

5 Settembre 2018 09:50

Il mese di agosto non è stato un mese particolarmente turbolento per i mercati finanziari. Tuttavia sono emersi alcuni aspetti che hanno permesso di confermare che i mercati emergenti non sono affatto uguali e che quindi gli investitori sbaglierebbero a considerarli come un insieme unico e indistinto. In primis la crisi della Turchia e, negli ultimi giorni, il riacutizzarsi di quella dell’Argentina, hanno fatto pressione sulle valute dei paesi in via di sviluppo.

LIRA TURCA, PESO ARGENTINO E RAND SUDAFRICANO


Tuttavia, tale pressione è risultata particolarmente virulenta soprattutto sulle divise dei paesi con elevati deficit commerciali e con riserve valutarie ridotte (come per l’appunto la lira turca, il peso argentino e il rand sudafricano) o con una situazione politica delicata a livello interno o internazionale (real brasiliano e rublo russo) mentre nella stragrande maggioranza dei casi la svalutazione è risultata assolutamente tollerabile.

LE IMPLICAZIONI DELLE GUERRE COMMERCIALI


In secondo luogo l’evoluzione della guerra commerciale dell’amministrazione Trump nei confronti soprattutto delle merci cinesi ha continuato a deprimere le quotazioni dell’azionario Cina (l’indice MSCI China ha perso quasi quattro punti percentuali ad agosto portando la perdita da inizio anno al 9 per cento) per i timori di un rallentamento delle esportazioni da Pechino. In questo caso, le preoccupazioni si sono diffuse in tutta l’area azionaria emergente come conferma l’indice MSCI Emerging markets in calo del 2,9% nel mese di agosto.

INDICI DI BORSA IN ORDINE SPARSO


Tuttavia, analizzando più nel dettaglio le dinamiche delle singole piazze finanziarie emergenti, si può constatare che anche nell’azionario ci sono stati andamenti molto divergenti, persino nella medesima area geografica. Infatti a fronte del -3,4% del Brasile, del -4,3% della Turchia, del -3,4% del Cile, (oltre al già citato -3,88% della Cina) i listini dell’Indonesia (+3%), delle Filippine (+3,1%), dell’Ungheria (+3,9%), dell’Egitto (+2,6%) e dell’India (+4,3%) hanno chiuso in forte crescita il mese di agosto.

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INDIA, IL PAESE CON IL PIÙ ALTO TASSO DI CRESCITA


Proprio l’India, secondo Craig Botham, Emerging Markets Economist di Schroders, si conferma come l’economia che cresce al ritmo più veloce al mondo, tra quelle principali, evidenziando la resilienza del paese alle preoccupazioni derivanti da un potenziale rallentamento cinese o, più in generale, dalle implicazioni delle guerre commerciali in atto. Una dichiarazione, quella dell’economista, fatta alla luce del PIL del secondo trimestre dell’India (+8,2% anno su anno), in ulteriore accelerazione rispetto ai primi tre mesi dell’anno (+7,7% anno su anno).

BALZO DELLE ESPORTAZIONI


Non solo. L’analisi dell’economista mette in luce cosa abbia determinato tale accelerazione. Ovvero, a fronte di un rallentamento delle spese pubbliche (rispetto al trimestre precedente), si è constatato un forte incremento dei consumi privati, saliti all’8,6% dal 6,7% anno su anno, e un balzo delle esportazioni (dal 3,6% anno su anno nel primo trimestre al 12,7% anno su anno nel secondo).

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FIDUCIA ANCHE PER I PROSSIMI MESI


Craig Botham, pur mettendo in conto un rallentamento nei prossimi mesi, resta comunque fiducioso che le misure adottate per migliorare le problematiche del credito (in particolare quelle che ancora gravano sul settore bancario) producano effetti concreti e siano di supporto alla crescita. “Nel frattempo, mentre continua l’escalation delle tensioni commerciali, ci teniamo a sottolineare che l’India è una delle economie emergenti meglio posizionate per resistere ad un rallentamento del commercio globale. Tra i paesi emergenti, l’India è una delle economie meno dipendenti dalle esportazioni e in generale sembra essere resiliente agli shock in arrivo dalla Cina” specifica l’economista.
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