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Idee di investimento - Obbligazioni - 7 gennaio 2020

Mentre cresce anche in Italia l’uso del robo advisor, il controllo del rischio resta cruciale, soprattutto in un anno in cui i tassi potrebbero risalire. Ma la demografia può dare una mano ai mercati emergenti

di Redazione 7 Gennaio 2020 09:55

ROBO ADVISOR, L’IMPORTANZA DELL’INTERAZIONE UMANA


Le masse gestite da robo advisor sul mercato italiano, a fine 2019, dovrebbero aver raggiunto circa 358 milioni di euro. La previsione è quella riportata dall’ultimo Quaderno Fintech della Consob “Valore della consulenza finanziaria e robo advice nella percezione degli investitori”. L’elemento umano – come si evince nell’articolo Cresce anche in Italia il robo advisor, ma per il cliente il riferimento resta il consulente - resta fondamentale: l’interesse verso il robo advice è legato alla possibilità di avere un modello ibrido, capace di unire l’elemento tecnologico con quello umano. Gli investitori che si rivolgono a intermediari tradizionali sono infatti abituati alla relazione umana, soprattutto per essere rassicurati. Lo human touch, quindi, continua ad avere un peso importante, rimanendo “un fattore critico di successo – si legge nel Quaderno Consob – che in prospettiva potrebbe essere sempre più valorizzato”. Solo il 30% degli investitori privati si rivolge ad un consulente finanziario dedicato, mentre il 40% preferisce chiedere ad amici, parenti e colleghi (informal advice). Tra i fattori che scoraggiano la domanda di consulenza c’è la sfiducia verso gli intermediari e la convinzione che non servano per investire piccole somme di denaro. Se è vero che in futuro aumenteranno i risparmiatori che si affideranno ad un algoritmo per trovare la soluzione più adatta alla gestione del proprio portafoglio – cercando sempre più un servizio personalizzato e di qualità -, la presenza di un riferimento umano sarà indispensabile per ridurre la percezione di insicurezza, amplificata anche dalla scarsa cultura finanziaria.

IL VANTAGGIO PSICOLOGICO DELLA GESTIONE DELLA VOLATILITÀ


Percezione di insicurezza che può essere calmierata da un opportuno controllo del rischio di portafoglio. Peccato che, come fanno notare nell’articolo Il rischio come punto di partenza negli investimenti Andrew Harmstone e Laura Biancato del team Global Balanced Risk Control di Morgan Stanley Investment Management, sia piuttosto raro leggere articoli sui fondi che eccellono nel controllo della volatilità, generando allo stesso tempo rendimenti robusti e competitivi. Eppure, osservano, la gestione della volatilità è la chiave per superare una forte contrazione dei mercati. “La maggior parte dei gestori di portafoglio utilizza un indice di riferimento rispetto al quale vengono valutati i rendimenti”, si legge nell’articolo. “Il numero di gestori che definiscono un benchmark per misurare la volatilità è invece molto ridotto. Noi lo facciamo. Il nostro processo d’investimento inizia dal rischio. A seconda delle preferenze del cliente, specifichiamo una fascia di volatilità obiettivo, ad esempio del 4-10%, e cerchiamo di mantenere la volatilità del fondo entro questo intervallo”. L’investimento in un fondo che ha tra gli obiettivi il contenimento della volatilità all’interno di un intervallo prestabilito ha anche un vantaggio di tipo emotivo: percepire un flusso di rendimento più stabile e meno volatile, sostengono Harmstone e Biancato, può essere rassicurante per quegli investitori che non vogliono subire perdite e che altrimenti potrebbero prendere decisioni affrettate e vendere troppo presto. Si tratta quindi di fondi appetibili per gli investitori maggiormente avversi alla volatilità, disposti a sacrificare una parte della partecipazione ai rialzi per ridurre al minimo le perdite.

LA SFIDA DEMOGRAFICA AVVANTAGGERÀ I MERCATI EMERGENTI


Chi è invece indotto a prevedere un periodo prolungato di bassa volatilità è Nathan Sheets, chief economist di PGIM Fixed Income, gestore delegato di Pramerica Sgr. L’esperto, nell’articolo La sfida del prossimo decennio sarà la demografia, giunge a questa conclusione analizzando tutti gli aspetti economici dell’’attuale contesto e di quello delineabile alla luce delle sfide demografiche. Tuttavia, aggiunge, “le implicazioni politiche meritano una debita riflessione”. Tra gli aspetti problematici Sheets cita “l’aumento delle dispute intergenerazionali, poiché i lavoratori più giovani oppongono resistenza all’introduzione di tasse più elevate, necessarie per finanziare la spesa previdenziale di una popolazione che invecchia”. Inoltre, precisa l’esperto, “le nuove generazioni potrebbero avanzare richieste per soddisfare le spese di prima necessità. Questa commistione di fattori potrebbe aumentare il rischio che si verifichino, al contempo, un incremento del debito pubblico e una situazione di instabilità politica. Dal punto di vista dei mercati, questo probabilmente rafforzerebbe atteggiamenti di risk-off e aumenterebbe la domanda di beni rifugio”. L’invecchiamento della popolazione si tradurrà, quasi per definizione, in una crescita più lenta della forza lavoro. E questi meccanismi, sottolinea Sheets, “difficilmente invertiranno il rallentamento demografico, dando così luogo a una crescita economica a sua volta col freno a mano. A ciò si aggiunge il fatto che le famiglie composte da soggetti in pensione spendano meno di quelle in età lavorativa. Da qui, una crescita più debole dei consumi e della domanda aggregata”. Alcuni Paesi assorbiranno il rallentamento della crescita meglio di altri. “Molte delle economie dei mercati emergenti continueranno a registrare una crescita della popolazione in età lavorativa sensibilmente positiva e, più in generale, un’auspicabile crescita economica”, spiega l’economista, citando a esempio l’India. Per Sheets “è probabile che tali Paesi appaiano sempre più dinamici rispetto al resto del mondo e, quindi, attirino un maggiore interesse da parte degli investitori. La domanda che ne consegue è se i loro sistemi finanziari siano in grado di intermediare un potenziale aumento dei flussi di investimento”.
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