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Idee di investimento - Obbligazioni - 13 maggio 2019

Le famiglie italiane detengono una ricchezza di quasi 10mila miliardi, ma con una scarsa diversificazione finanziaria. Le obbligazioni in euro non sono da trascurare ma neppure, in modo selettivo, il debito emergente

di Redazione 13 Maggio 2019 09:28

ATTIVITA’ DELLE FAMIGLIE ITALIANE, POCA DIVERSIFICAZIONE


In Italia le famiglie detengono una ricchezza di quasi 10mila miliardi, più della Germania. Peccato che per circa due terzi questa ricchezza sia ”congelata” in immobili e in strumenti di liquidità, mentre una diversificazione finanziaria darebbe più soddisfazioni. Come si legge nell’articolo Istat-Bankitalia: la finanza rende di più ma gli italiani preferiscono il mattone, che riprende l’ultimo rapporto di Istat e Bankitalia sui dati del 2017, la ricchezza netta delle famiglie italiane è stata pari a 9.743 miliardi di euro. La principale forma di investimento degli italiani è costituita dalle abitazioni che, con un valore di 5.246 miliardi di euro, hanno rappresentato la metà della ricchezza lorda. Esaminando nel dettaglio la composizione delle attività delle famiglie italiane al 30 settembre scorso, si nota la quota ancora ridotta del risparmio gestito sul totale. Nonostante gli ingenti flussi di raccolta netta positiva convogliati a favore dei prodotti del risparmio gestito negli ultimi quattro anni (dal 2015 al 2018), il controvalore delle quote dei fondi comuni e dei comparti di Sicav a fine settembre non andava oltre il 12% del totale delle attività finanziarie (stimate in 4.244 miliardi) per un totale di 509 miliardi di euro. Ammonta a quasi il doppio, (971 miliardi di euro per una quota del 22,9%), l’esposizione alle assicurazioni sulla vita, ai fondi pensione e al Tfr. Sommando insieme queste due voci, si arriva a un totale di 1.480 miliardi (ovvero il 34,9%), non molto superiore ai 1.379 miliardi di euro che risultano dalla somma di contanti, conti correnti, depositi postali: una montagna di strumenti di liquidità che rappresentano un terzo del totale della ricchezza finanziaria delle famiglie e che restano fermi in attesa di un impiego più efficiente.

AREA EURO, UN MIX DI TITOLI DI STATO E HIGH YIELD


Detto questo, le obbligazioni europee potrebbero rivelarsi un investimento sorprendentemente favorevole. Ne sono convinti, e lo argomentano nell’articolo È ancora il momento delle obbligazioni euro, Flavio Carpenzano e Markus Peters, senior portfolio manager-fixed income di AllianceBernstein. Oggi chi investe in titoli di Stato dellʼEurozona potrebbe ottenere ritorni stabili ma ridotti; chi invece sceglie i titoli societari high yield dovrebbe realizzare rendimenti più elevati, ma si esporrebbe anche a una volatilità nettamente superiore. La ricetta di AllianceBernstein è un portafoglio svincolato dal benchmark che gestisce in maniera dinamica lʼallocazione fra questi due mercati, in grado di offrire un rendimento ponderato per il rischio più interessante e con una migliore qualità del portafoglio, un aspetto molto rilevante in questa fase del ciclo. “Le nostre ricerche mostrano che questo tipo di portafogli può essere in grado di offrire rendimenti nettamente superiori a quelli del tradizionale indice di riferimento aggregato in euro (composto da un mix di obbligazioni corporate e titoli di Stato di alta qualità), con una duration inferiore e una volatilità analoga, nonostante lʼallocazione più elevata allʼhigh yield”.

ARGENTINA, DISCIPLINA FISCALE E MONETARIA


Al di fuori della zona euro, esercita sempre un certo appeal anche il debito emergente, sebbene sia indispensabile una rigorosa selezione dei paesi e degli emittenti. Tra gli stati finiti nella lista nera figura ancora l’Argentina. Mauricio Macri, l’attuale presidente, non sembra trovare la chiave per contenere la spirale inflazionistica, ma secondo Thierry Larose, portfolio manager di Vontobel Asset Management, il profilo rischio/rendimento delle sottoclassi di asset rimane interessante. Forse un’ancora di salvezza, sottolinea l’esperto di Vontobel AM, è rappresentata dalla disciplina fiscale e da quella monetaria: “Fino alla fine del 2020, il governo di Buenos Aires dovrebbe essere in grado di vivere delle risorse fornite dal Fai e di disporre di riserve in dollari Usa sufficienti per far fronte ai propri obblighi finanziari in modo da non dover attingere ai mercati per ottenere del capitale aggiuntivo” specifica l’esperto nell’articolo Argentina, il panico politico che pesa sui mercati.

DEBITO EMERGENTE, EVITARE I RISCHI SPECIFICI


Anche secondo Schroders, l’Argentina torna a preoccupare i mercati insieme alla Turchia per i problemi delle rispettive monete e per l’inflazione, ma i timori di contagio ad altri Paesi emergenti sono eccessivi. Con una inflazione fuori controllo e una crescita economica incerta a livello globale e timori su una potenziale recessione negli Stati Uniti, i mercati potrebbero agitarsi per timore che la situazione in Turchia e in Argentina possa contagiare anche il resto degli Emergenti. “Si tratta di preoccupazioni eccessive, i due paesi non rappresentano il sintomo di un problema più generale. Al contrario, sia Ankara che Buenos Aires, stanno affrontando problemi abbastanza unici nelle sfere economiche e politiche e al di là del sentiment, non c’è ragione per cui gli investitori dovrebbero temere un effetto contagio al resto di queste asset class” sottolinea nell’articolo Perché Turchia e Argentina non sono una minaccia per gli Emergenti Craig Botham, senior emerging markets economist di Schroders, secondo cui i problemi di Argentina e Turchia hanno alcuni elementi in comune. A cominciare dall’inflazione, che è una preoccupazione importante in entrambe le economie, tanto che entrambe le banche centrali hanno avuto difficoltà a controllarla ultimamente. Ma la buona notizia per il resto degli Emergenti è che si tratta di rischi molto specifici, e non ci sono grandi motivi per pensare che porterà a un contagio, al di là del sentiment degli investitori, che comunque devono monitorare con attenzione i policymaker per vedere se riescono a mantenere la credibilità, sia a parole che nei fatti.

BOND INDIANI, POSSIBILE RITORNO DI INTERESSE DOPO LE ELEZIONI


Tra i bond dei Paesi in via di sviluppo nel mirino degli investitori restano quelli dell’India. La vittoria del BJP alle elezioni del paese asiatico con la conferma di Modi rappresenterebbe l’esito più favorevole per i mercati, spiega nell’articolo India, i mercati tifano per la rielezione di Modi Wontae Kim, research analyst di Western Asset (gruppo Legg Mason). Attualmente, i titoli di stato indiani a 10 anni rendono attorno al 7,4%, e su questo livello sono rimasti per tutto il 2019. Tuttavia, a partire dall’inizio del 2018 gli investitori esteri hanno cominciato a disinvestire in maniera significativa i loro portafogli dai bond indiani. La percentuale di obbligazioni sovrane e corporate indiane detenute da soggetti esteri si attesta oggi rispettivamente al 68% e 73%. Con la rielezione di Modi e il proseguimento della sua politica di consolidamento fiscale, sottolinea Kim, è lecito aspettarsi che gli investitori esteri tornino a comprare i titoli di stato indiani, visto il carry attraente. La rupia indiana dovrebbe a sua volta beneficiare di questi flussi in ingresso.
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