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La guerra ai mercati già persa da Erdogan, contagio improbabile

L’uomo forte di Ankara scambia i mercati finanziari per un nemico politico e alla fine rischia di schiantarsi. Sembra improbabile un rischio contagio per le economie emergenti, ora molto più grandi e solide.

13 Agosto 2018 10:08
financialounge -  mercati emergenti Recep Tayyip Erdogan rischio contagio turchia Weekly Bulletin https://www.flickr.com/photos/96739999@N05/9240952792/

Same old story, solita vecchia storia. Una settimana fa avvertivamo che agosto si diverte a fare sorprese sul mercato valutario globale, sorprese che sono puntualmente arrivate con epicentro Turchia. Perché vecchia storia? Perché lo schema è sempre lo stesso. Non a caso infatti su FinalciaLounge abbiamo accostato il crollo della lira turca ad esperienze simili vissute dal rial iraniano e dal bolivar venezuelano, avremmo potuto aggiungere l’Argentina ed altri casi. Succede che un ‘uomo forte’ alla guida di un paese emergente relativamente importante nella sua area gonfia la crescita economica con un mix di investimenti e debito pubblici. All’inizio funziona, come ha funzionato negli altri casi citati, la crescita arriva e la popolarità dell’uomo forte aumenta, così come aumenta il suo senso di invincibilità. Fino a che l’uomo forte pensa di potersi mettersi di traverso ai mercati.

Valute emergenti, il deprezzamento non penalizza tutti i settori


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L’economia si surriscalda a causa della crescita drogata, l’inflazione si infiamma, la moneta si indebolisce di conseguenza, e il costo del debito, denominato in valuta estera, cioè soprattutto in dollari, aumenta. La risposta razionale sarebbe una stretta monetaria, che rinvigorirebbe la moneta e darebbe fiducia agli investitori. Ma sarebbe anche impopolare, perché farebbe frenare l’economia, anche se temporaneamente. L’uomo forte si sente onnipotente, dà ordine alla banca centrale di non alzare i tassi e di dare fondo alle riserve di valuta per difendere il cambio. Alla fine si ritrova con le casse piene di lire turche e vuote di dollari e chiede agli elettori di aiutarlo a sostenere il cambio, comprando lire e vendendo i dollari che hanno sotto il materasso, e anche l’oro. Se non si ravvede, la recessione che arriverà sarà molto più dura di quella che (forse) avrebbe innescato alzando i tassi di interesse.

Le sanzioni USA lanciate via tweet da Trump sono state solo il catalizzatore che ha fatto precipitare una situazione insostenibile. La via d’uscita sarebbe alzare i tassi: una crescita insostenibile verrebbe rallentata, migliorerebbero i conti con l’estero, si abbasserebbe l’inflazione stabilizzando il cambio. Ma Erdogan non ci pensa neanche lontanamente, ha appena varato un decreto che gli consente di controllare la banca centrale. Il problema è aggravato dal fatto che, a differenza di Iran, Venezuela e Argentina, la Turchia è anche membro della NATO, dispone di forze armate particolarmente robuste e modernamente equipaggiate, è ai confini dell’Europa e al centro della zona più ‘calda’ del pianeta, dove l’incendio siriano sta appena iniziando a spegnersi. La tentazione sembra quella di usare la sua posizione geopolitica come arma di ricatto nei confronti di USA e Europa, magari con l’appoggio di Putin.

Economia mondiale, un grande tavolo da poker con più partite in corso


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Purtroppo per Erdogan, il suo problema sono i mercati, che non prendono ordini nemmeno dalla Casa Bianca, figuriamoci da Bruxelles. È un errore di prospettiva che spesso inganna gli uomini forti: vedere il mondo come un tutto unico, in cui finanza, politica e equilibri militari fanno parte di un solo scacchiere che può essere manipolato dalle grandi potenze, USA in testa. I mercati sono comandati esclusivamente dagli investitori, che non hanno credo politico ma unicamente l’interesse a difendere il proprio investimento e possibilmente farlo rendere. Se il mondo funzionasse così, non avremmo avuto la crisi dei subprime e la grande crisi, e nemmeno quella del debito europeo o la bolla di internet. I mercati guardano i numeri e non i tweet. Lo abbiamo visto qualche giorno fa. Nessuno si è precipitato a comprare petrolio, nonostante i titoli di giornali che prevedevano possibili strappi al rialzo dopo le sanzioni rinnovate all’Iran da Trump, ma molti lo hanno venduto dopo un dato più alto del previsto sulle scorte americane.

Attese & Mercati – Settimana dal 13 agosto 2018


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Bottom line. Ora molti parlano di contagio che dalla Turchia potrebbe estendersi ad altri mercati emergenti, con gli occhi ovviamente puntati sulla Cina. Ci si dimentica che, vent’anni dopo la crisi asiatica, le economie emergenti sono diventate molto, ma molto più grandi, e la dimensione le mette al riparo da shock esterni. Gli allarmisti citano l’alto livello di debito soprattutto privato della Cina. Ma dimenticano che i forzieri cinesi custodiscono oltre 3.000 mld di dollari di riserve valutarie. Munizioni che scoraggiano qualsiasi attacco speculativo. Probabilmente alla fine qualcuno si farà male. Per sapere chi, l’uomo forte dovrebbe guardarsi allo specchio.

(dalla rubrica “Caffè scorretto” della newsletter settimanale di FinanciaLounge)
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