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Fondi comuni, comincia a preoccupare la fuga dai flessibili

Dopo i deflussi per 5 miliardi di euro accusati nel IV trimestre 2018, anche a gennaio la raccolta netta dei fondi comuni flessibili ha registrato un pesante saldo negativo per 1,4 miliardi

1 Marzo 2019 12:18

I dati di Assogestioni sulla raccolta netta dei fondi comuni nel mese di gennaio sono positivi per 600 milioni di euro ma non per tutte le categorie. Infatti mentre i flussi verso i fondi azionari (+26 milioni di euro), bilanciati (+187 milioni) e, soprattutto, monetari (+3,3 miliardi) sono risultati positivi, quelli riguardanti i prodotti obbligazionari (-1,4 miliardi) e flessibili (-1,4 miliardi) hanno evidenziato un saldo mensile decisamente in rosso.

FLESSIBILI IN CALO


A preoccupare adesso sono i fondi flessibili che, dopo aver trainato il mercato negli ultimi 4 anni, stanno mostrando segnali di appannamento nell’appeal verso i risparmiatori. I fondi flessibili, infatti, hanno contabilizzato una raccolta netta annua positiva per 51,5 miliardi di euro nel 2015, per 14,6 miliardi l’anno successivo e per 21,9 miliardi nel 2017. L’anno scorso, invece, sebbene abbiano chiuso con un saldo annuale in attivo per 8,6 miliardi, nel quarto trimestre hanno accusato deflussi netti per 5 miliardi: il dato di gennaio (-1,4 miliardi) conferma il trend negativo in atto su questa categoria di fondi.

TIPOLOGIE DI FONDI MOLTO DIVERSE


Ma perché i fondi comuni flessibili non piacciono più come prima agli investitori? Ci sono diverse ragioni. La prima è che in questa categoria Assogestioni rientrano tipologie di fondi comuni molto differenti le une dalle altre: da quelli a capitale protetto ai multi asset, da quelli a durata temporale a quelli specializzati sui titoli ad alta volatilità, da quelli caratterizzati da un’asset allocation tattica a quelli focalizzati sulle valute. Sempre tra i flessibili rientrano i fondi che adottano tecniche quantitative, quelli che selezionano le emissioni obbligazionarie ‘rising stars’, oppure che investono sui mercati emergenti o sui mercati di frontiera in generale a quelli che puntano su specifici paesi (Cina, India, Russia). Senza dimenticare, inoltre, i fondi specializzati nelle risorse naturali, quelli che cavalcano il tema del low carbon, quelli a cedola o ancora i fondi legati all'inflazione, i relative value o i comparti che pongono l’enfasi sull’economia reale, sul ritorno assoluto o specializzati sui megatrend.

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FORTE DISPERSIONE DELLE PERFORMANCE


Un universo tanto variegato comporta rendimenti molto divergenti con una elevatissima dispersione delle performance anche a medio – lungo termine. Il problema, e qui sta la seconda ragione della disaffezione dei risparmiatori, è che le performance medie non sono state soddisfacenti: in base agli indici elaborati da Fideuram, i fondi comuni flessibili hanno realizzato una performance a tre anni del 4,38% mentre quelli bilanciati hanno messo a segno un +6,93% e, sulla distanza dei cinque anni, a fronte di un +14,2% dei fondi bilanciati, i flessibili non sono andati oltre un +4,45%.

COSA FARE


Cosa fare? Prima di sottoscrivere un fondo comune di tipo flessibile occorre prendere visione di quale siano le caratteristiche e in quale mercato intende ricavare il rendimento. Inoltre, è sempre bene sapere prima quale sia l’orizzonte temporale consigliato (3, 5 o 7 anni), quale sia il rendimento obiettivo (sebbene non sia garantito) e quale sia la rischiosità dell’investimento (in termini di volatilità annualizzata). Un approccio di questo tipo dovrebbe permettere ai sottoscrittori del fondo comune flessibile di essere consapevoli dei rischi e delle potenzialità di guadagno e di perdita dell’investimento.
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