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Fed, le zone d’ombra che tengono in apprensione i mercati

Tra gli aspetti da tenere d’occhio le discussioni dei membri della Fed sul tasso neutrale, sulla gradualità o meno dei rialzi, sulle implicazioni dei dazi commerciali e sulla curva dei tassi.

23 Agosto 2018 09:58

Il presidente della Federal Reserve Jerome Powell parlerà domani alla conferenza di Jackson Hole, il simposio annuale della Fed. Nel frattempo gli analisti si stanno concentrando sulle minute dei verbali della riunione di agosto della banca centrale americana. Un’analisi ancora più importante del solito dal momento che la Fed, nel suo ultimo meeting non ha comunicato alcun nuovo rialzo dei tassi prendendo tempo per approfondire alcune questioni.

TASSO NEUTRALE


La prima delle quali è senza dubbio stabilire il concetto di tasso neutrale, ovvero il livello del tasso di riferimento dei fondi federali della Fed (Fed Funds) che, al contempo, non stimola né blocca l’economia. L'idea di diventare ‘neutrali’ (cioè di stabilire un percorso di rialzi della Fed per raggiungere un tasso neutrale) sta diffondendosi tra alcuni presidenti delle federazioni regionali come il presidente della Fed di Dallas, Robert Kaplan. Tuttavia, come ha dichiarato Seth Carpenter, capo economista americano di UBS, sembra che la maggioranza dei membri della Fed sia orientata verso tassi inferiori a quello neutrale.

LE IMPLICAZIONI DEI DAZI COMMERCIALI


Un altro aspetto controverso è quello relativo alla discussione sulla politica commerciale. Gli economisti di Goldman Sachs, per esempio, hanno fatto sapere di essere molto interessati a conoscere cosa dicano i membri della Fed sulle implicazioni dei dazi commerciali dal momento che nulla in proposito è stato menzionato nelle dichiarazioni post riunione.

AUMENTO DEI TASSI MENO GRADUALE?


Un altro punto non affatto secondario è la puntualizzazione fatta da Powell nella sua testimonianza semestrale al Congresso, in cui ha dichiarato che, con il solido mercato del lavoro e con l'inflazione vicina all'obiettivo del 2%, la Fed crede di poter aumentare gradualmente il tasso dei fondi federali ‘per ora’: significa forse che la politica monetaria della banca centrale americana si sta avvicinando alla fase che prevede aumenti dei tassi meno graduali?

APPIATTIMENTO DELLA CURVA DEI TASSI


Infine, ma non certo per importanza, emerge in tutta la sua evidenza l’appiattimento della curva dei tassi. Gli analisti continuano a seguire con estrema attenzione ogni discussione sulla curva dei tassi, il differenziale di rendimento tra i titoli di stato USA a 2 e 10 anni. Dal momento che lo spread è al minimo degli ultimi 11 anni e che si sta avvicinando un'inversione, alcuni funzionari della Fed hanno dichiarato di voler evitare un'inversione (che, in passato, ha quasi sempre anticipato una recessione). Il presidente della Fed Jerome Powell non è sembrato così preoccupato ma ha comunque affermato che la curva dei rendimenti potrebbe inviare un segnale di ciò che il mercato considera una politica neutrale.

EVITARE SEGNALI DESTABILIZZANTI AL MERCATO


“Siamo persuasi che i responsabili delle decisioni politiche terranno con ogni probabilità conto delle ulteriori informazioni, in particolare se la curva dei rendimenti si invertisse. Pertanto la Fed potrebbe rallentare, o temporaneamente interrompere, il suo ciclo di rialzi dei tassi nel 2019 per evitare di lanciare dei segnali al mercato che la politica monetaria sta diventando troppo restrittiva” commenta Karsten Linowsky, Head Rate & FX Strategy di Credit Suisse.

EFFETTI SU ECONOMIA E MERCATI


Occorre tuttavia considerare che un rallentamento del ciclo di rialzi da parte della Fed non sarebbe indifferente sull’economia e sui mercati. Da un lato, quello dell’economia, potrebbe facilitare la crescita, ma dall’altro, quello finanziario, potrebbe determinare un aumento del premio di rischio per l’inflazione: la risultante sarebbe quindi un irripidimento della curva. “Inoltre se si materializzasse una escalation delle tensioni commerciali globali, anche le curve dei rendimenti potrebbero cominciare a evidenziare un irripidimento” aggiunge Karsten Linowsky.

PREFERENZA PER SCADENZE BREVI


L’esperto, alla luce di tutti questi elementi, ritiene che attualmente il rischio correlato alla duration (scadenza dei titoli che determina la sensibilità alla variazione dei tassi di interesse, ndr) non sia sufficientemente compensato per la gran parte delle aree valutarie. Questo sia perché, come nel caso dell’area euro e del franco svizzero, i rendimenti delle obbligazioni a lungo termine sono troppo bassi, e sia perché, come nel caso dell’area del dollaro USA, le curve dei rendimenti sono troppo piatte. “Attualmente, le nostre scadenze preferite sono quelle a 2–4 anni nell’area euro, franco svizzero e dollaro USA, e 1–3 anni nell’area della sterlina inglese” conclude Karsten Linowsky.
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