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Trump sempre più solo nella guerra alla Fed

I quattro predecessori di Powell alla guida della banca centrale hanno firmato sul WSJ un appello senza precedenti a difesa dell’indipendenza della Fed. Lo scontro sui tassi è un rischio potenziale per Wall Street

di Redazione 7 Agosto 2019 15:56
financialounge -  donald Trump Federal Reserve Jerome Powell

Da quando Donald Trump ha nominato Jay Powell alla presidenza della Fed, a novembre del 2017, gli ha lanciato contro ben 40 tweet per chiedergli prima di non alzare i tassi di interesse e poi, dopo una serie di ben quattro mosse in direzione opposta nel corso del 2018, di abbassarli per sostenere l’economia. A fine luglio Powell lo ha finalmente accontentato, ma ha anche messo le mani avanti avvertendo che quel quartino non sarebbe stato necessariamente il primo di una serie. E Trump ha ricominciato a twittargli contro, l'ultima volta nel pomeriggio di oggi. Ma nel suo partito non gli va dietro nessuno. E lunedì 5 agosto è successa una cosa mai vista. Gli ultimi quattro presidenti della Fed, tutti ancora in vita anche se un paio hanno passato i 90, hanno firmato in prima pagina del WSJ un articolo che rappresenta un vero e proprio manifesto a difesa dell’indipendenza della Banca Centrale, che deve perseguire la sua missione senza farsi influenzare dalla politica. Trump avrebbe potuto tirare in ballo la Fed il giorno dopo, quando ha accusato la Cina di manipolare il valore dello yuan, ma si è astenuto. Vediamo se continuerà a resistere alla tentazione dei tweet. La lettura della storia potrebbe aiutarlo.

IL PRECEDENTE DI NIXON CHE APRÌ LE PORTE A 10 ANNI DI INFLAZIONE


E’ l’estate del 1971, mancano 15 mesi alle elezioni e il presidente Richard Nixon fa pressione sul capo della Federal Reserve Arthur Burns perché allenti la politica monetaria e lo faccia arrivare al voto, che poi stravincerà, sull’onda di un’economia in espansione. Allora non c’erano i tweet, e delle pressioni di Nixon si seppe solo decenni dopo, quando la Casa Bianca diede accesso alle registrazioni delle telefonate del presidente. Il prezzo della politica accomodante della Fed di Burns fu il decennio di alta inflazione che seguì, e che solo la politica monetaria ferocemente restrittiva di Paul Volcker riuscì a sconfiggere all’inizio degli anni ‘80. E una quarantina d’anni dopo è proprio lo stesso Volcker, probabilmente il miglior presidente della Fed dal dopoguerra, a mettere la firma sotto il manifesto a difesa dell’indipendenza della Fed pubblicato dal WSJ lunedì 5 agosto, insieme agli altri tre ex suoi colleghi ancora in vita: Alan Greenspan, Ben Bernanke e Janet Yellen.

ALLA SCADENZA DI POWELL NEL 2021 DEVE VINCERE LA COMPETENZA


Nella presa di posizione, che non ha precedenti, i quattro non prendono neanche in considerazione un possibile licenziamento del loro successore Jerome Powell, lo può fare solo il Congresso e solo se si rende responsabile di un reato o di una dimostrata inadempienza rispetto al suo mandato, che è di creare occupazione e mantenere i prezzi stabili. L’inflazione è sotto il 2%, la disoccupazione ai minimi storici. È chiaro che non c’è materia. Ma i quattro mandano a dire a Donald Trump e più in generale ai palazzi del potere di Washington, di sperare che alla scadenza del primo mandato di Powell, a novembre del 2021, “la scelta venga fatta sulla base della competenza e dell’integrità, e non dell’appartenenza politica, perché è cruciale proteggere la capacità della Fed di prendere decisioni basate sul miglior interesse della nazione, non su quello di un ristretto gruppo di politici”.

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FINORA WALL STREET HA IGNORATO IL RISCHIO DEGLI ATTACCHI ALLA FED


Il comportamento di Trump nei confronti della Fed somiglia a quello dei cosiddetti investitori ‘attivisti’, che con un mano un pacchetto di solito modesto di azioni di una grande società quotata, mettono nel mirino il Ceo perché non genera tutto l’utile potenziale. Ma la Fed non è una public company e la sua mission non è fare l’utile (del Presidente) ma di creare le condizioni per la prosperità del popolo americano. Un attivismo che preoccupa sempre più investitori e osservatori, che vedono un rischio grave per i mercati. Finora Wall Street ha sostanzialmente ignorato il rischio di una Fed troppo prona alla politica, che potrebbe concretizzarsi anche se Powell continua a resistere ai tweet. Nella pipeline infatti ci sono due nomine trumpiane nel board della Fed, Stephen Moore e Judy Shelton, a cui viene attribuita una linea molto vicina a quella del presidente. Ma devono passare ancora l’esame del Congresso, che ha l’ultima parola.
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