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La Fed tira dritto sui dati, banche italiane molla compressa

La traiettoria dei tassi resta intatta dopo il Job Report. Intanto Trump si vende un altro successo nella guerra dei dazi mentre l’Europa arranca. Le banche italiane brillano ai test, e se non ci fosse lo spread...

5 Novembre 2018 08:30

Allora, Trump si sta preparando a portare a casa un accordo sugli scambi con la Cina come ha già fatto con il nuovo NAFTA chiuso qualche mese fa con Messico e Canada? Oppure a ormai poche ore dalle elezioni di mid-term di martedì 6 novembre si sta semplicemente vendendo elettoralmente la pelle di un orso cinese che non ha per nulla nel carniere? Le borse asiatiche, da Tokyo, a Shanghai a Hong Kong, sembrano credere alla prima versione e venerdì hanno salutato la telefonata “molto positiva” di Trump con Xi con strappi violenti al rialzo. Wall Street sembra più scettica ed è andata a chiudere con il segno meno la miglior settimana da sei mesi, con cui sembra aver archiviato l’ottobre rosso. In realtà a Wall Street la guerra dei dazi ha sempre interessato poco, guarda i numeri delle trimestrali, che da quando tutta la storia è cominciata otto mesi fa dicono che l’impatto sugli utili delle società di Dow Jones, S&P 500 e Nasdaq è pari a zero. Quello che non è piaciuto a broker e trader della piazza americana è lo stellare job report di venerdì scorso, con un record di 250.000 nuovi posti creati a ottobre, disoccupazione ai minimi di 50 anni al 3,7% e salari che aumentano del 3,1% sull’anno, ben oltre l’inflazione, con il rialzo più forte dal 2009.

UNA BESTIA MAI SAZIA DI RIALZI


Perché un’economia che corre ai limiti del surriscaldamento non piace a Wall Street? Perché smentisce un ragionamento che stava circolando e piacendo nelle ultime settimane, secondo cui la combinazione della turbolenza dell’azionario e di un’economia che mostrerebbe qualche segno di rallentamento, soprattutto nel settore immobiliare, potrebbe indurre Jay Powell e colleghi a rallentare il passo dei rialzi dei tassi dei Fed Fund, dando così a Wall Street la scusa per partire con un bel rally di fine anno. Il mercato azionario è una bestia famelica, non è mai sazio di rialzi, e la correzione di ottobre ha fatto aumentare l’appetito. Tassi bassi amplificano il ritorno sulle azioni, quindi sono sempre benvenuti, anche se potrebbero far danni nel medio lungo termine, tipo gonfiare troppo i prezzi e lasciare che il motore dell’economia si surriscaldi. Domani è un altro giorno. Evidentemente non la pensa così Powell, che finora ha preferito farsi guidare dai numeri. E quelli del job report di venerdì dicono che deve andare avanti e non cambiare guidance, portando i tassi dei Fed Fund al 2-1/2% a dicembre e proseguendo fino alla normalità del 3% nel 2019.

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EUROPA NEL LIMBO PER TUTTO IL 2019


Jay non ha bisogno di dire che tira diritto perché non ha mai detto di averci ripensato, nonostante le pressioni del presidente che lo ha nominato. Basta il silenzio. Tornando alla guerra dei dazi, certo che se Trump dopo il nuovo NAFTA si porta a casa anche l’accordo con la Cina, e intanto rilancia le sanzioni all’Iran, il risultato è un’Europa sostanzialmente isolata nel nuovo mondo prima de-globalizzato e poi ri-globalizzato dagli accordi separati di Trump. Un isolamento destinato a durare per buona parte del 2019. Il governo europeo di Juncker e Merkel finora è riuscito a portare a casa una tregua sul fronte dei dazi, ma con le elezioni europee in arrivo a maggio non ha la forza e la rappresentanza per negoziare un accordo vero e duraturo e resterà nel limbo per parecchi mesi. Finora la guerra dei dazi non ha fatto deragliare l’economia americana, che anzi corre come un treno, ma una bella frenata a quella europea l’ha causata.

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PROBLEMI STRUTTURALI ALLE SPALLE PER LE BANCHE ITALIANE


Intanto sono finalmente arrivati i risultati degli stress test dell’EBA sulle principali banche europee, e le italiane Intesa, Unicredit, Banco-BPM e UBI ne escono tutt’altro che malconce. A differenza delle altre europee, si sono ormai gettate alle spalle tutti i problemi strutturali, a cominciare dai NPL (Non Performing Loan). Sulla solidità del quartetto, ma anche di buona parte del resto del sistema, pesa ormai solo un problema, assolutamente congiunturale, che si chiama spread. E nonostante l’erosione del coefficiente di capitale causato dalla perdita di valore dei BTP che hanno in portafoglio, le prime due vantano requisiti migliori di nomi come SocGen e Santander, mentre l’ultima in classifica fa comunque meglio di Barclays. C’è da dire anche che questi test sono stati i più severi da quando questo tipo di esame è stato introdotto dopo la crisi. I test sono stati fatti sui bilanci chiusi a dicembre 2017, e non tengono conto delle azioni di de-risking messe in atto quest’anno. Ma non tengono neanche conto dell’allargamento dello spread in atto da maggio in poi.

BOTTOM LINE


Che alla guida della Fed ci sia un signore che non si fa forzare la mano né dal presidente degli Stati Uniti né dai mercati ma guarda solo i fondamentali sottostanti dell’economia è una bella sicurezza per quegli stessi mercati a cui piacerebbe una pausa nel rialzo dei tassi. Passando da noi, le banche italiane sembrano una molla compressa pronta a scattare appena il temporale dello spread sarà passato, sempre che passi e non diventi una tempesta come quella che ha investito le Dolomiti nei giorni scorsi. Purtroppo personaggi maldestri non mancano, né a Roma né a Bruxelles.

(dalla rubrica “Caffè scorretto” della newsletter settimanale di FinanciaLounge)

Attese & Mercati – Settimana dal 5 novembre 2018


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