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La Fed si è solo messa in pausa, aspetta che cali la nebbia delle incertezze

Powell non ha segnalato chiaramente la fine del ciclo dei rialzi ma solo che ha bisogno di più elementi per valutare la situazione. Ora l’orizzonte è il giro di boa della prima metà del 2019. Il ruolo del QT

31 Gennaio 2019 12:08

Questa volta le parole del capo della Fed Jerome Powell erano particolarmente attese, anche se nessuno prevedeva, giustamente, che la prima riunione del Fomc del 2019 potesse partorire una mossa sui tassi di interesse. Nella conferenza stampa di giovedì 30 gennaio, a mercati europei chiusi ma con Wall Street ancora aperta e in tempo per apprezzare, Powell ha detto che il livello attuale dei Fed Funds, al 2,5%, si situa sulla linea della neutralità, vale a dire che non costituisce né uno stimolo né un freno alla crescita economica. I principali media finanziari internazionali hanno interpretato le sue parole come il segnale che il ciclo di aumento dei tassi iniziato a dicembre del 2015 è arrivato alla conclusione, e che la prossima mossa della banca centrale potrebbe essere addirittura un allentamento.

SI È DETERIORATA LA FIDUCIA, MA NON L’ECONOMIA REALE


Probabilmente è più corretto il giudizio dei pochi che invece ritengono che la Fed si sia soltanto messa in pausa, in attesa che si diradi la nebbia su una serie di incertezze che gravano sul quadro economico e finanziario. Una nebbia che per metà anno dovrebbe essersi dissipata. E quindi la pausa della Fed è a tempo, il tempo del primo semestre del 2019. Quali siano queste incertezze è noto: si va da quella più immediata, l’effetto dello shutdown federale sulla crescita del primo trimestre, fino a quelle più fondamentali, dal rallentamento economico in Europa e in Cina, all’esito del confronto su dazi e commercio tra Washington e Pechino, al confronto in corso tra Londra e Bruxelles sulla Brexit, fino alle elezioni europee di fine maggio. Tutte queste incertezze sono condite da un deterioramento del clima di fiducia delle imprese, il che non vuol dire per forza deterioramento delle condizioni economiche reali.

Mercati supportati da emergenti più tonici


Mercati supportati da emergenti più tonici






IL RUOLO DEL QUANTITATIVE TIGHTENING


Se la Fed fosse effettivamente arrivata alla fine del ciclo, Powell avrebbe probabilmente citato il Quantitative Tightening, vale a dire il meccanismo per cui non rinnova a scadenza i titoli accumulati negli anni del Quantitative Easing, drenando di fatto liquidità dal mercato, con un effetto simile a quello di un rialzo dei tassi. Non lo ha fatto, non ha neanche accennato alla possibilità che il QT possa interrompersi, indicando così implicitamente che la linea di fondo resta restrittiva, anche se appunto in modalità pausa. Oggi l’inflazione Usa viaggia attorno al 2%, quindi il tasso di interesse reale implicito dei Fed Funds è positivo per circa 50 punti base, mentre lo spazio per una riduzione fino a zero in caso di repentino deterioramento economico è di 250 punti. Non molto, in termini di media storica. Ma se si tiene conto anche della possibilità di bloccare il QT lo spazio diventa più ampio, e la Fed continua ad accumularne proprio con la prosecuzione dello stesso QT. La bottom line, aperta alle analisi e ai contributi che sicuramente non mancheranno da parte dei protagonisti del mercato nei prossimi giorni, è che in questo inizio d’anno la Fed non dispone di tutti gli elementi necessari per decidere se e come andare avanti nel suo ciclo di rialzi e quindi si mette in pausa, ma mantiene un bias restrittivo per così dire ‘passivo’, continuando la cura dimagrante del suo bilancio con il QT. Si può solo aggiungere che la Fed può permetterselo anche perché dal fronte del mercato dei T-bond non arrivano segnali di stress, con il rendimento del decennale che continua a tenersi a distanza di sicurezza dalla ‘soglia del dolore’ del 3%.

BLACKROCK: LA FED VERSO UN APPROCCIO PIU’ PAZIENTE E FLESSIBILE


Già a dicembre la maggior parte dei membri del Fomc sembrava aver abbracciato una nuova filosofia improntata alla “pazienza” e alla “flessibilità” per quanto riguarda il nuovo ciclo di rialzi dei tassi, spiega Rick Rieder, cio global fixed income di BlackRock. “Avevamo prospettato l’opportunità di una pausa nel ciclo di rialzi anche prima del terribile quarto trimestre del 2018. Questo perché per noi era già evidente che i settori dell’economia sensibili ai tassi di interesse fossero sotto stress. Per questo, siamo contenti di constatare che il cambiamento del linguaggio nel comunicato della Fed riconosca questo rischio e sembri voler mantenere un approccio di cautela”. Per quanto riguarda le implicazioni per il mercato, ci aspettiamo che il dollaro Usa non si rafforzi come nel 2018. E gli asset rischiosi possono beneficiare del fatto che la Fed adatti la sua politica a un contesto che non richiede, per ora, ulteriori rialzi.

SCHRODERS: TASSI IN DISCESA DAL 2020


Secondo Keith Wade, chief economist e strategist di Schroders, “c’è stata una decisa evoluzione da parte della Fed rispetto all’ultimo policy meeting a dicembre”. Un cambiamento che era già stato segnalato dal presidente Powell e da altri membri del Fomc prima dell’incontro di ieri; tuttavia “i mercati sono comunque rimasti sorpresi dal tono dovish, con un conseguente rally degli asset rischiosi, un indebolimento del dollaro e un irripidimento della cura dei rendimenti”. L’esperto continua comunque a prevedere un ulteriore rialzo dei tassi di 25 punti base da parte della Fed a giugno 2019; ciò richiederà, però un “rimbalzo dell’attività economica, che ci aspettiamo abbia luogo nel secondo trimestre”. Più avanti, invece, Wade prevede “una riduzione dei tassi nel 2020, via via che gli stimoli fiscali verranno meno e l’impatto dei rialzi già effettuati farà rallentare la crescita”.
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