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Le spine nella rosa di Draghi: fase del ciclo, Italia, Turchia e Brexit

Le fonti di rischio non mancano a pochi giorni dalla riunione BCE, ma secondo molti osservatori Draghi manterrà un atteggiamento accomodante.

12 Settembre 2018 07:00
financialounge -  BCE Euromobiliare SGR Mario Draghi politica monetaria

Giovedì la BCE si riunirà e i riflettori degli addetti ai lavori dei mercati finanziari saranno inevitabilmente puntati sulle decisioni che annuncerà il presidente Mario Draghi. Decisioni che avranno conseguenze importanti sul cambio dell’euro (rispetto al dollaro statunitense ma non solo) e sulle aspettative dei tassi della zona euro. Secondo la maggioranza degli osservatori Draghi manterrà una posizione accomodante (‘dovish’) ma la sua non sarà affatto una decisione semplice, soprattutto perché dovrà illustrare cosa intende fare dopo la fine del Quantitative Easing.

FONDAMENTALI POSITIVI


I dati sull'inflazione continuano a spingere la Banca centrale europea verso l'uscita dalla politica monetaria ultra-espansiva. L’output gap (la differenza tra il prodotto interno lordo effettivo e quello potenziale) si sta rapidamente riducendo mentre emergono crescenti tensioni sulle capacità produttive e le richieste di figure lavorative (non solo laureati ma anche personale con qualifica medio alta) cominciano ad essere inevase. Tutti questi sviluppi hanno iniziato a tradursi in migliori trattative salariali che, a cascata, dovrebbero iniziare ad influenzare i dati di base sull'inflazione a partire dal quarto trimestre.

CRESCITA ALLO 0,4% TRIMESTRALE


Nel frattempo, l'economia si è stabilizzata a un regime di crescita dello 0,4% circa a trimestre. Si tratta di un ritmo che (sebbene inferiore a quello registrato nel secondo semestre dello scorso anno) resta ancora sopra la tendenza di lungo termine e contribuisce a ridurre ulteriormente l’output gap e il divario di produzione, che dovrebbe portare a ulteriori pressioni inflazionistiche. Insomma, nel complesso, i fondamentali economici parlano chiaramente a favore di una uscita della BCE dalle politiche monetarie accomodanti.

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EQUILIBRIO DEI RISCHI PIÙ SFAVOREVOLE


Per contro, negli ultimi mesi, l'equilibrio dei rischi è diventato più sfavorevole. Il rispetto dei paletti fiscali UE da parte dell’Italia è diventato meno certo dopo l’insediamento del nuovo governo Lega–Cinquestelle e la prossima legge di bilancio 2019 in discussione nelle prossime settimane sarà il vero banco di prova.

BREXIT ANCORA IN ALTO MARE


I negoziati sulla Brexit dimostrano che si è ancora lontani da una soluzione mentre si avvicina la loro scadenza (marzo 2019). Le tensioni commerciali con gli Stati Uniti rischiano una escalation con ripercussioni di una certa gravità sull’export della zona euro, uno dei motori della crescita di Eurolandia.

VOLATILITÀ NEI MERCATI EMERGENTI


Infine, non certo meno rilevante, la volatilità nei mercati emergenti è in aumento con le preoccupazioni circa la situazione finanziaria in alcuni paesi (Turchia e Argentina in particolare) che presenta notevoli implicazioni per il sistema bancario europeo esposto ai debiti di quegli stati. Di conseguenza, la BCE dovrebbe tenere una conferenza stampa accomodante il 13 settembre, mantenendo aperte tutte le sue opzioni. Al momento, le ipotesi più gettonate restano quelle di una conclusione del QE a dicembre e del primo rialzo dei tassi fra 12 mesi.

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TRA CRESCITA SOLIDA, RISCHI ESTREMI E INFLAZIONE IN RIALZO


“Non ci aspettiamo nessuna novità di rilievo dalla banca centrale europea nella riunione di giovedì, né in termini di misure di politica monetaria né di proiezioni macroeconomiche trimestrali. Siamo persuasi che Draghi sia orientato a mantenere toni accomodanti illustrando che, se da un lato la crescita è solida, dall’altro persistono rischi esterni (dazi in primis) allo scenario” fanno sapere gli esperti di Euromobiliare Asset Management. I quali, relativamente all’altro appuntamento macroeconomico in calendario questa settimana (i dati di inflazione americana di agosto), si aspettano la conferma del deciso recupero dell’indice core, cioè della componente dei prezzi al consumo che non tiene conto delle componenti energia e alimentari.
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