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Dazi, un film già visto? La Cina come il Giappone negli anni ‘80

Secondo i media cinesi gli americani mirano a contrastare l'ascesa della Cina, così come hanno fatto con il Giappone 34 anni fa, attraverso un accordo sfavorevole nello scontro sui dazi

di Redazione 21 Maggio 2019 09:58
financialounge -  cina dazi giappone https://www.flickr.com/photos/gageskidmore/30247492401

Lo scontro sui dazi tra Washington e Pechino è tornato prepotentemente sotto i riflettori dopo i tweet di Trump di inizio maggio. Da quel momento la guerra commerciale tra le due superpotenze economiche è entrata in una nuova fase. Tuttavia, analizzando tutte le componenti in gioco, appare sempre più evidente come il vero obiettivo della Casa Bianca sia quello di contrastare l’ascesa di Pechino, soprattutto nella tecnologia avanzata. Scopriamo insieme perché.

BILANCIO A FAVORE DI PECHINO


In un’analisi a cura di Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte SIM, emerge che, al momento, il bilancio nella guerra dei dazi è favorevole ai cinesi per 74,9 miliardi di dollari contro 62,5 miliardi. Con l’aliquota aumentata al 25% su 250 miliardi di dollari di merci cinesi importate, i dazi incamerati da Washington ammontano a 62,5 miliardi (250 miliardi per 25%). Pechino, dal canto suo, ha risposto con dazi al 25% su 50 miliardi di dollari di merci importate dagli Usa e con tariffe doganali del 19% su altri 60 miliardi per un totale di 23,9 miliardi di dazi incassati. Inoltre, il cambio dollaro/yuan si è svalutato da 6,3 a 6,9 che impatta su tutti i 539 miliardi di dollari di beni esportati dalla Cina sul mercato statunitense per un ‘danno’ agli Stati Uniti di ulteriori 51 miliardi di dollari che, sommati ai 23,9 miliardi, porta per l’appunto ai 74,9 miliardi a favore di Pechino.

LE CORPORATION USA SEGUONO TRUMP


Anche per questo il presidente Trump ha ulteriormente scompaginato il quadro dei negoziati commerciali mettendo al bando Huawei negli Usa mentre Google ha deciso di escludere l'accesso di Huawei agli aggiornamenti del sistema operativo Android. Non solo, oltre a Google anche le aziende Usa produttrici di chip e microchip - da Qualcomm a Intel , da Broadcom a Qualcomm - si sono allineate alla linea dettata dalla Casa Bianca.

LA CINA TEME DI FARE LA FINE DEL GIAPPONE


Mentre i mercati continuano a scommettere su un accordo tra Washington e Pechino, se non al G20 di giugno almeno entro la fine dell’anno, gli osservatori più attenti consigliano di imparare a convivere con questa disputa tra i due colossi mondiali in quanto il vero obiettivo della Casa Bianca consiste nell’impedire che la Cina sorpassi gli Stati Uniti nel dominio tecnologico. Non a caso aumenta l’elenco dei media cinesi che mettono in relazione l’attuale evoluzione dei negoziati commerciali con quanto accaduto 34 anni fa tra Stati Uniti e Giappone.

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FORTE ATTIVITÀ DI LOBBYING


Tra il 1980 e il 1985 il biglietto verde si rivalutò di circa il 50% nei confronti dello yen giapponese provocando significative difficoltà all'industria americana in termini di competitività sui mercati internazionali. Ne scaturì una forte attività di lobbying che, alimentata dalle principali multinazionali, dagli agricoltori e dai fornitori di servizi, pretese protezione contro la concorrenza straniera con il risultato che, nel 1985, il Congresso degli StatI Uniti iniziò a valutare l'approvazione di leggi protezionistiche. In poco tempo si arrivò ai negoziati commerciali che avrebbero portato al cosiddetto accordo ‘del Plaza’.

L’ACCORDO DEL PLAZA


Quest’ultimo, che ha preso il nome dall’Hotel Plaza di New York dove si svolse l’incontro, sancì l’intesa tra i ministri delle finanze e i banchieri centrali di Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Germania e Francia, che si poneva l'obiettivo di contrastare il persistente apprezzamento del dollaro registrato nella prima metà degli anni ottanta. Il pregio di questa svalutazione fu che venne pianificata e messa in atto in modo coordinato dalle autorità monetarie dei cinque paesi e questo evitò il panico sui mercati finanziari.

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UN PROLUNGATO PERIODO DI DEFLAZIONE


Ma da quel momento lo yen si rivalutò, in poco meno di due anni, e permise ai prodotti statunitensi di ritornare competitivi sui mercati internazionali e anche in Giappone. D’altro canto, il rafforzamento dello yen, in un'economia fortemente dipendente dalle esportazioni come quella del Sol Levante, spronò l'attuazione di politiche monetarie espansive da parte delle autorità di Tokyo, che portarono alla bolla dei prezzi delle attività giapponese della fine degli anni ottanta. Dal 1989 in Giappone si è materializzato un periodo prolungato di deflazione e bassa crescita, depotenziando di fatto l’ascesa del Giappone che fino al 1985 sembrava inarrestabile.

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LA DETERMINAZIONE DI WASHINGTON


Insomma, parafrasando Draghi quando a proposito dell’euro disse «Per rispettare gli obiettivi faremo di tutto, e vi assicuro che basterà» anche Washington farà di tutto per rispettare, nei negoziati commerciali, l’obiettivo di mantenere il primato nella tecnologia. Sarà però il tempo a dire se riuscirà davvero a preservarlo.
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