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Data dividend e reddito di cittadinanza digitale, pagati per cedere i nostri dati

Il governatore della California sostiene l’idea di un data dividend, un compenso per chi cede i propri dati alle aziende che sviluppano nuove tecnologie

19 Febbraio 2019 10:59

E se al reddito di cittadinanza si aggiungesse un data dividend che retribuisce chi rinuncia a una parte della propria privacy? La domanda può sembrare provocatoria, ma l’idea di remunerare i cittadini che cedono dati alle grandi aziende – tecnologiche e non – circola in diversi paesi del mondo. L’ultima dichiarazione in questo senso è arrivata da Gavin Newsom, nuovo governatore democratico della California. Ovviamente non riferita al reddito di cittadinanza come misura varata dal governo italiano, ma nel senso più ampio di un reddito a sostegno della popolazione.

PAROLA AL GOVERNATORE


“I consumatori californiani dovrebbero beneficiare della ricchezza creata dai loro dati. Ho chiesto al mio team di sviluppare una proposta per un nuovo data dividend per i californiani, perché noi riconosciamo che i vostri dati hanno un valore che appartiene a voi”. Sono le parole pronunciate da Newsom nella sua ultima apparizione pubblica. Un riferimento breve e privo di dettagli, certo, ma che si sposa con l’idea di garantire un reddito base a tutti i cittadini che viene dibattuta anche negli Usa.

MODELLO ALASKA


Il modello di riferimento sembra essere quello dell’Alaska, dove i cittadini ricevono una parte delle royalties incassate dal governo per l’estrazione del petrolio. Un compenso che varia da poche centinaia di dollari e circa duemila dollari a persona, diventato ormai una parte consistente del reddito in un’area economicamente svantaggiata.

QUANTO VALE IL DATA DIVIDEND


Anche nel caso del data dividend circolano già alcune cifre. Secondo gli esperti, infatti, il compenso potrebbe variare da 100 dollari all’inizio fino ad arrivare a circa cinquemila. Una bella cifra, se si pensa che in fin dei conti i dati che cediamo ai social – in cambio dell’iscrizione gratuita al servizio – non sono all’apparenza così strategici.

NON SOLO SOCIAL


Ma il punto è proprio questo. Secondo i sostenitori del data dividend, l’intromissione dei vari Facebook, Google e Amazon nella nostra privacy è solo la punta dell’iceberg. Le aziende che sfruttano i nostri dati personali per realizzare tecnologie innovative e soprattutto remunerative sono altre. E operano in settori come l’automotive, la sanità digitale, la vendita al dettaglio e le assicurazioni.

LE NOSTRE TRACCE


Permettere la registrazione delle nostre telefonate all’assistenza clienti, per esempio, aiuta le aziende che sviluppano l’interazione tra uomo e robot. Lasciare che il percorso casa-lavoro venga tracciato, invece, non fa altro che fornire dati preziosi alla ricerca sulla guida autonoma.

DATI MONETIZZATI


Dunque non si tratta di fornire solo la nostra e-mail o, nei casi più antipatici, il nostro numero di telefono per ricevere email e telefonate moleste: “Tutti i dati che generiamo ogni volta che interagiamo con una piattaforma digitale vengono monetizzati” spiega Chris Benner, direttore dell’UC Santa Cruz’s Institute for Social Transformation a Cnn Business.

M&A sostenuto nel 2019 con focus sul tech europeo


M&A sostenuto nel 2019 con focus sul tech europeo





METODI DI DISTRIBUZIONE


Oltre a rappresentare una sorta di “risarcimento” per la nostra collaborazione involontaria ai reparti ricerca e sviluppo delle aziende, secondo molti osservatori il data dividend è un modo per favorire la redistribuzione della ricchezza. O almeno cominciare a invertire la rotta. E non mancano le ipotesi sulle modalità di distribuzione. La prima prevede un vero e proprio salario da corrispondere direttamente agli utenti in base alla quantità di dati ceduti. L’altra è invece simile a una tassa che le aziende pagherebbero al governo, che a sua volta dividerebbe gli introiti tra i cittadini. Le idee per concretizzare il data dividend non mancano, ma la strada sembra essere appena iniziata e probabilmente si inserirà nel più ampio dibattito sugli effetti dell’intelligenza artificiale e dell’automazione sul mondo del lavoro.
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