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Jerome Powell

La curva alla fine si è invertita, ma forse è solo la nuova normalità

Dati globali bruttini spingono le Borse in calo e i rendimenti USA a 3 mesi scavalcano quelli a 10 anni. Solo una gelata di fine inverno? Il mercato si muove in modo opportunistico contando sul new deal di Powell.

25 Marzo 2019 09:23

Dal Giappone, all’Eurozona fino agli Stati Uniti venerdì escono indici dell’attività manifatturiera a marzo decisamente bruttini, gli investitori vendono azioni spingendo gli indici di Borsa in rosso e cercano rifugio negli asset sicuri, numero uno il T-bond americano a 10 anni. L’effetto è un aumento del prezzo e un conseguente calo del rendimento del benchmark globale dell’obbligazionario. E finalmente – se ne parla da anni – il gap tra il tasso a 3 mesi e quello a 10 anni diventa negativo, vale a dire che la curva dei tassi USA si inverte. Un primo segnale che potrebbe essere in arrivo una recessione di qui a 12-18 mesi, cosa che evidentemente non piace alle Borse perché vuol dire utili e quindi anche prezzi dei titoli in calo, anche se l’inversione più importante, quella tra i tassi a 2 e 10 anni, non si è (ancora?) concretizzata. Ma il giorno prima, giovedì 21 marzo, si è verificato un altro evento di natura ‘tecnica’ che punta in direzione opposta. A Wall Street la media mobile del Dow Jones a 50 giorni ha ‘bucato’ al rialzo quella a 200 giorni, un movimento chiamato ‘golden cross’ che costituisce un segnale rialzista, il contrario della ‘death cross’ che segnala l’arrivo dell’Orso. Secondo i calcoli di Investing.com, dal 2003 ad oggi una golden cross è stata sempre seguita da un rialzo del Dow nei 6-12 mesi successivi.

[caption id="attachment_136130" align="alignnone" width="482"]Il gap tra i rendimenti Usa a 10 anni e a 3 mesi in negativo per la prima volta da agosto 2007 Il gap tra i rendimenti Usa a 10 anni e a 3 mesi in negativo per la prima volta da agosto 2007[/caption]

WALL STREET HA CONIATO UN NUOVO VERBO: TO POWELL


Insomma, la lettura della direzione delle economie e dei mercati azionari si fa sempre più difficile, un esercizio da esperti in crittografia. La chiave più semplice è che dopo una partenza d’anno stellare, la migliore da trent’anni, a Wall Street e sulle altre Borse globali dei paesi sviluppati la gente cercasse solo una scusa per togliere un po’ di soldi dal tavolo e portare a casa il profit. C’è anche da aggiungere che la partenza d’anno stellare era stata preceduta da una chiusura dell’anno precedente da incubo, con indici in accelerazione verso Sud fino a che il capo della Fed Powell non aveva fischiato la messa in pausa dei rialzi dei tassi nel segno della pazienza e della flessibilità. Dal 29 dicembre 2018, data dell’inversione a U del successore di Janet Yellen, il numero uno della Fed non ha perso occasione per ribadire e rafforzare il messaggio da ‘colomba’, al punto che a Wall Street hanno coniato un nuovo verbo: ‘to powell – powelled - powelled’, per indicare quando il mercato viene spinto al rialzo dalle parole del banchiere centrale. Quando l’azionario viene ‘pollowed’ gli effetti si fanno sentire ovviamente anche sul reddito fisso, e il rendimento del T-bond va in picchiata mentre i prezzi salgono, puntando alla possibilità che la prossima mossa della Fed possa essere al ribasso e non più al rialzo.

La Fed punta a un’economia più bilanciata e sostenibile


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LE COSE SI NORMALIZZANO IN UN MODO POCO NORMALE


Tutto questo porta alla situazione anomala che abbiamo segnalato qualche giorno fa su Financialounge: i prezzi di azioni e T-bond si muovono all’unisono in rialzo mentre normalmente succede il contrario. Poi venerdì le cose si sono per così dire normalizzate: Wall Street giù e prezzi del T-bond su. Qualche presa di beneficio e poi si riparte? Oppure è iniziata una salutare correzione? Le opinioni sulla Fed non sono mai state così divergenti da anni. Voci autorevoli prevedono che Powell potrebbe riprendere ad alzare i tassi già quest’anno. Ma altrettanto autorevoli esperti prevedono già quest’anno una mossa al ribasso. La domanda da un milione di dollari è: i dati PMI flash di marzo sono la gelata che segna la fine dell’inverno per le economie mondiali, o indicano qualcosa di peggio? Vediamoli rapidamente. In Giappone l’indice manifatturiero è rimasto invariato a 48,9, sotto quota 50 che separa espansione da contrazione. Nell’Eurozona scende a 47,6 da 49,3 di febbraio, il livello minimo da aprile 2013, mentre in USA è sceso a 52,5 da 53, sempre saldamente in espansione ma ai minimi da 21 mesi.

Attese & Mercati – Settimana dal 25 marzo 2019


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BOTTOM LINE


Così come una rondine non fa primavera, una gelata di fine marzo non vuol dire che è tornato l’inverno. Per ora il mercato sembra fare un uso opportunistico dei dati, una scusa per aggiustamenti del posizionamento, ma non sembra farsi convincere a cambiare direzione. Così come per gli input che vengono dal versante geopolitico. Tanto ci sono le banche centrali che pensano a tenere il mondo a galla. Forse non stavamo tornando alla normalità del passato ma siamo entrati in una nuova normalità. Una normalità ‘powelled’ verrebbe da dire.
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