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Oggi i Cds sono un'arma spuntata per speculare contro i Btp

Dopo la messa al bando delle vendite allo scoperto sul debito sovrano europeo nel 2012 è diventato meno facile speculare usando i Cds. Che non sempre, in Italia e nel mondo, misurano con precisione il rischio

di Redazione 24 Maggio 2019 12:44

Durante la grande crisi del debito sovrano europeo, quella innescata dal rischio default della Grecia nel 2010, con il successivo contagio a tutta l’Europa periferica e infine l'epicentro in Italia tra fine 2011 e inizio 2012, alcuni speculatori facevano un giochino semplice e a vincita quasi sicura. Compravano Cds sul debito italiano anche se non avevano in portafoglio neanche un Btp. Cds vuol dire Credit default swap: si tratta di strumenti derivati che servono a coprire il rischio default del sottostante, nel nostro caso debito targato Italia. Più lo spread saliva, più il prezzo del Cds lo seguiva, garantendo un facile guadagno anche a chi non era esposto sul rischio Italia. Un po’ come comprare una polizza assicurativa sulla casa del vicino: se va a fuoco incassi ma in realtà non stai rischiando niente e se il rischio aumenta la rivendi con un guadagno. Nel 2012 è intervenuta la Ue proibendo le vendite allo scoperto del debito sovrano europeo - divieto già introdotto nel 2008, ma rafforzato quattro anni dopo per evitare triangolazioni tra diversi Paesi -  e anche di conseguenza le transazioni sui Cds cosiddetti "naked", vale a dire nudi, perché dietro il compratore non c’era un’esposizione sui titoli di Stato. Oggi non si può più fare e anche per questo i prezzi dei Cds sul debito italiano sono ben lontani dai livelli toccati allora.

I TASSI UFFICIALI SONO UN FATTORE DETERMINANTE


Confrontando spread e Cds sull’Italia di allora e di oggi la differenza è chiara. Il primo è oltre la metà delle punte di oltre 500 toccate all’acme della crisi del 2011-12, mentre i secondi prezzano circa un terzo rispetto ad allora, in un mercato decisamente più piccolo come volumi. Lo spread con il Bund rimane così la misura più precisa di quanto il mercato prezzi il rischio emittente dell’Italia, ma anche i Cds rimangono un termometro importante. Invece del Bund proviamo a prendere come paragone il Treasury americano a 10 anni. Il rendimento è praticamente allineato con quello del Btp, poco sotto il 2,5%. Vuol dire che il mercato prezza il rischio emittente americano come quello italiano? No, vuol dire che il mercato prezza tassi ufficiali americani al 2,5%. Quelli della Bce sono sottozero, e infatti lo spread tra Bund e Treasury a 10 anni correttamente viaggia attorno ai 240 punti.

LE CLASSIFICHE RACCONTANO REALTA’ MOLTO DIVERSE


Anche nel resto del mondo ci sono forti discrepanze tra la rischiosità emittente misurata dallo spread e quella registrata dai Cds. I Cds di Egitto e Grecia, ad esempio, sono sostanzialmente appaiati intorno ai 340 punti, ma lo spread egiziano sul Bund è a 1.600 punti, quello greco a 350. Vuol dire che l’Egitto sostiene un costo altissimo per il servizio del suo debito, ma è giudicato sostenibile allo stesso livello di quello greco che pure paga un premio molto più basso, grazie ai tassi zero della Bce. Nella classifica della rischiosità misurata dai Cds l’Italia è al 17esimo posto dietro a Paesi come l’Argentina, l’Ucraina, il Libano, la Turchia o l’Ecuador, ma davanti a Brasile, Sudafrica, Vietnam o Russia. Ma se si guarda allo spread con il Bund tedesco cambia tutto. Per il Brasile è intorno ai 900 punti, per il Vietnam a 500 e per il Sudafrica a 850, secondo i dati di Investing.com. Siamo tra le due e le quattro volte quello italiano.

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BOTTOM LINE


La bottom line è che spread, Cds e altri strumenti sono una misurazione molto imprecisa del rischio, ma molto precisa dell’umore e del sentiment del mercato, che è fatto anche di speculazione, di solito attratta dalla possibilità di guadagno nel breve o brevissimo termine più che ispirata da una visione di lungo periodo. In Italia lo spread ha un impatto diretto sull’azionario, soprattutto sui titoli bancari perché hanno molti Btp in pancia. Il che vuol anche dire possibilità di veder rivalutati i portafogli se lo spread rientra.
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