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Banche scatenate?

Gli americani stanno iniziando ad allentare le catene regolatorie introdotte dopo la crisi, ma Wall Street fa fatica a prenderne atto mentre l’Europa resta indietro. Un potenziale inespresso pronto a emergere?

25 Giugno 2018 08:39

A inizio anno diversi analisti avevano indicato le grandi banche americane come le possibili protagoniste del 2018 a Wall Street, grazie a una congiuntura astrale molto positiva: allentamento regolatorio e stress test meno punitivi, ricostruzione dei margini di interesse grazie agli aumenti della Fed, ripresa dell’erogazione di prestiti e mutui grazie all’economia spumeggiante sull’onda della riforma fiscale di Trump. A sei mesi di distanza tutte le condizioni favorevoli si sono concretizzate, ma i titoli bancari quotati a New York sembrano non essersene accorti. BofA langue sotto i 30 dollari, Morgan Stanley sotto i 50, Citi sotto i 70, Wells Fargo non riesce ad allontanarsi dai 50 dollari, e resta molto lontana dai massimi di fine gennaio. A differenza del resto del mercato, e in particolare di alcune componenti come i tecnologici, il quartetto segna ancora prezzi ben lontani da quelli pre-crisi del 2008. Le uniche stelle che brillano sono JP Morgan e Goldman, soprattutto la prima, che viaggia a livelli molto più alti di prima che esplodesse Lehman Brothers. Ma anche in questo caso il primo semestre dell’anno non le ha viste protagoniste ma sostanzialmente allineate con le altre. I fondamentali non c’entrano, tutte hanno archiviato un primo trimestre da incorniciare, sono tornati anche i ricavi da trading grazie alla volatilità del mercato. E tutto lascia intendere che anche il secondo trimestre sarà brillante.

COME RUBY TUESDAY


Nemmeno la notizia di giovedì scorso, che le 35 maggiori banche operanti in USA (ci sono anche le europee Credit Suisse, UBS, BNP e Deutsche Bank) hanno superato brillantemente gli stress test quantitativi della Federal Reserve, è riuscita a dare una spinta ai titoli. In pratica tutte le banche esaminate hanno mostrato di avere risorse di capitale in eccesso a quelle stimate necessarie per superare una situazione disastrosa, cifrata in una caduta verticale del PIL americano, una disoccupazione che schizza al 10% e una Borsa che crolla del 65% a inizio 2019. In pratica i test mostrano che le banche esaminate non solo hanno abbastanza capitale per restare in piedi di fronte a una catastrofe del genere, ma ne avanza. Per questo nei prossimi mesi potranno restituire agli azionisti il capitale in eccesso sotto forma di dividendi generosi e buyback. Il mercato però non ha festeggiato. Forse il problema sta proprio qui. Dopo lo shock del 2008 autorità e regolatori hanno pensato bene di condannare le banche a una vita che non preveda perdite, ma al prezzo di non fare guadagni. Una vita a cui la Ruby Tuesday dei Rolling Stones rifiutava di farsi incatenare, preferendo la libertà e il rischio di inseguire i propri sogni.

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EUROPA IN CONFUSIONE


A distanza di 10 anni sembra che gli americani ci stiano ripensando. Dopo aver di fatto affondato Basilea IV con i suoi requisiti ancora più punitivi, ora stanno mettendo mano al Dodd-Frank Act instaurato da Obama nel 2010, di cui gli stress test fanno parte, per renderlo gradualmente meno oppressivo. L’idea che le banche debbano tenere il capitale sotto il materasso per essere sicure di non fallire anche se scoppia la terza guerra mondiale, invece di metterlo al lavoro per far andare l’economia, sembra non piacere troppo al segretario al Tesoro Steve Mnuchin e al capo della Fed Jay Powell. E forse per questo una scommessa su banche americane che finalmente possano esprimere il potenziale inespresso, anzi represso, ci sta tutta. Del tutto diversa la situazione in Europa, dove tra le poche ma confuse idee che circolano in una politica che si sta sgretolando sui migranti mentre la ripresa economica non riesce a fare a meno dello stimolo di Mario Draghi, l’ultimo pensiero sembra quello di mettere finalmente le banche in condizione di essere protagoniste della ripartenza produttiva. Unione bancaria, fondo comune di emergenza, revisione del bail-in, etc. restano per ora un messaggio nella bottiglia.

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BOTTOM LINE


L’indice dei primi 30 titoli bancari americani è ancora sotto i livelli pre-Lehman, ma la distanza non è abissale e sembra colmabile nel medio termine. L’equivalente europeo, la componente bancaria dello Stoxx 600, viaggia sotto quota 200 contro un picco pre-Lehman ben oltre 500. Si può anche vedere il bicchiere mezzo pieno e osservare che l’upside europeo, almeno teoricamente, è molto più ampio. Ma per ora il quadro politico e regolatorio, insieme ai fondamentali dell’economia, dicono che le americane sono messe meglio. Le trimestrali che arrivano tra un mese potrebbero dare la spinta che serve.

(dalla rubrica “Caffè scorretto” della newsletter settimanale di FinanciaLounge)
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