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Banche centrali in vacanza e alle Borse restano più dubbi che certezze

Dalle economie arrivano notizie che si prestano a letture opposte e, con le Banche centrali andate in ferie, le Borse possono contare su poche certezze. La tentazione di incassare un po’ dei profitti accumulati da inizio 2019 è forte

di Redazione 5 Agosto 2019 09:32

Il titolo del simposio di Jackson Hole, che dal 22 al 24 agosto radunerà nella località montana del Wyoming banchieri centrali da tutto il mondo, recita: “le sfide della politica monetaria”. La ‘spiega’ pubblicata sul sito della Fed di Kansas City, che organizza ogni anno l’evento, deve essere stata scritta qualche mese fa, perché parla di Banche centrali incamminate, se pure con modalità e tempi diversi, sul sentiero del ritorno alla normalità monetaria dopo gli anni delle politiche non convenzionali, come il QE, adottate per contrastare la Grande Crisi. Dalle ultime riunioni di Fed e Bce è uscita l’indicazione che stiamo invece tornando all’emergenza monetaria, con gli europei che si preparano a spingere ancora di più i tassi in territorio negativo e magari anche a ripristinare il QE, e gli americani che tagliano per la prima volta da quasi 11 anni e interrompono il Quantitative Tightening. Ma al mercato azionario la svolta è sembrata un po’ troppo timida e esitante, da Powell avrebbe voluto il mezzo punto invece del quartino e la promessa di andare avanti deciso da settembre in poi, e da Draghi l’implementazione di misure immediate e non il semplice annuncio che arriveranno dopo le vacanze di agosto. E così lo S&P ha fatto un brusco scivolone sotto quota 3.000, che aveva faticosamente conquistato a luglio, e le piazze europee hanno preso una sbandata, anche se lo STOXX 600 mantiene un guadagno del 12% da inizio anno.

DEBITO TEDESCO SOTTOZERO, ECONOMIA AMERICANA CHE SEMBRA IN SALUTE


Un Trump tornato all’attacco sui dazi ha offerto la scusa per portare a casa un po’ del profit accumulato nei primi sette mesi del 2019. Intanto sul mercato dei bond i rendimenti vanno a picco e i prezzi salgono. Venerdì il tasso del Bund a 30 anni ha fatto una puntata sottozero portando per la prima volta nella storia l’intera struttura dei tassi del debito tedesco in territorio negativo. Intanto dagli Usa continuano ad arrivare segnali di forza dell’economia. A luglio sono stati creati 164.000 nuovi posti di lavoro con la disoccupazione al 3,7%, il che ha portato il numero di americani occupati a 157,3 milioni, un record di sempre, mentre si fanno sentire anche pressioni salariali. Un altro dato americano uscito in settimana è la fiducia dei consumatori misurata ogni mese dal Conference Board, il cui indice a luglio è balzato a 135,7 da 124,3 di giugno, un massimo da 18 anni. Ma per qualcuno è un segnale di allarme rosso. Su MarketWatch infatti Mark Hulbert scrive che la consumer confidence è un indicatore contrarian per Wall Street. Secondo questa teoria si corre a spendere quando il ciclo è agli sgoccioli, e la dimostrazione sta nel fatto che livelli del genere non si vedevano da inizio del 2000, quando la bolla di Internet si preparava a esplodere.


VINCITORI E VINTI DELLA GUERRA DEI DAZI, IL MESSICO SORPASSA LA CINA


Continuando a spigolare tra i dati usciti in settimana, sul WSJ scopriamo che la Cina non è più il principale partner commerciale degli Stati Uniti: causa le guerra dei dazi, nel primo semestre le importazioni americane dalla Cina sono calate del 12% e le esportazioni verso la Cina del 19%, il primo forte declino dopo 30 anni di crescita stabile e sostenuta. Ci ha guadagnato il Messico, asceso al primo posto, seguito dal Canada, al secondo. Proprio i due paesi finiti per primi nel mirino di Trump che nel 2018 avevano rimediato stringendo gli accordi del nuovo NAFTA. Tra i ‘vincitori’ della guerra dei dazi ci sono anche Vietnam, Taiwan e Corea del Sud, che prendono il posto dei cinesi nella catena globale delle forniture. Anche gli americani pagano un prezzo in termini di deficit commerciale in aumento, ma questo è soprattutto l’effetto di un’economia che tira mentre il resto del mondo rallenta, e quindi importa di più di quanto riesca a esportare. Mentre duella con Pechino, Trump intanto va avanti con accordi commerciali minori con giapponesi e europei. E sembra sempre più convinto che le maniere forti siano paganti. Quindi c’è da aspettarsi nuove offensive agostane rivolte a Pechino. E nuove scuse offerte a Wall Street per portare a casa un altro po’ del profit accumulato.

Mercati, dopo 7 mesi stellari è ora di tornare sulla Terra


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LA POLITICA MONETARIA STA ESAURENDO GLI STRUMENTI


Quanto può andare avanti così? Probabilmente gli scossoni continueranno tutto agosto, con la possibilità di forti turbolenze innescate dalle tensioni nel Golfo, che restano tutte lì anche se la mancanza di notizie le ha allontanate negli ultimi giorni dai notiziari. Sembra che i Mercati siano alle prese con quello che per la navigazione aerea è rappresentato da un vuoto d’aria. In questo caso è piuttosto un ‘vuoto di informazioni’. Ne arrivano tante ma sono tutt’altro che univoche, mentre le banche centrali sono andate in vacanza lasciando più dubbi che certezze. Il mondo resta appeso alle politiche monetarie, perché la politica non è capace di inventare le riforme fiscali e strutturali necessarie a governare il nuovo mondo digitalizzato e robotizzato, con la parziale eccezione degli Stati Uniti. Ma anche le politiche monetarie, dopo un decennio e passa di supplenza, sono a corto di strumenti.


BOTTOM LINE


America e molti Paesi emergenti sono su un cammino di crescita abbastanza sostenuta, mentre il resto dell’area sviluppata è in forte rallentamento, ma non ancora in recessione. Il secondo gruppo riuscirà ad agganciare il primo sulla strada della ripresa? Oppure succede l’esatto contrario? Sullo sfondo c’è una Cina che deve decidere quanto può spingersi nel confronto con gli Usa senza farsi troppo male. Sicuramente le risposte non arrivano ad agosto. E forse dovremo trascinarci questi interrogativi fino al 2020, quando da febbraio l’America entra in fibrillazione elettorale.
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