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Brexit

Attese & Mercati – Settimana dal 12 novembre 2018

Il tormentone della ‘Grande Collisione’ tra Roma e Bruxelles resta al centro dell’attenzione dei mercati insieme a dazi e Brexit. Intanto la Fed si prepara ad alzare ancora a dicembre anche se a Trump non piace.

12 Novembre 2018 08:59

CONTINUA IL TORMENTONE DELLA GRANDE COLLISIONE


L’agenzia Reuters l’ha ribattezzata la Grande Collisione, e c’è da scommettere che resterà al centro dell’attenzione di media e mercati anche per la prossima settimana. Parliamo ovviamente dello scontro tra Roma e Bruxelles sulla manovra di bilancio per il 2019. L’Italia entro martedì dovrebbe presentare a Bruxelles le revisioni richieste, ma non sembra aria. La cosa positiva è che lo scontro sembra passato dallo scambio di insulti alla contrapposizione di cifre, anche se la distanza resta notevole. Un altro fatto positivo è che in Europa comincia a farsi timidamente strada l’idea che forse l’austerità non è la ricetta migliore per la crescita, visto che l’economia nel 2018 ha rallentato bruscamente mentre quella americana ha accelerato violentemente grazie proprio alla politica in deficit spending di Trump. E poi sempre in Italia ci sono le tensioni crescenti dentro la coalizione di governo, che forse ai mercati non dispiacciono troppo.


UN PREZZO CHE TRUMP È COSTRETTO AD ACCETTARE


Le attese che la Fed potesse alzare i tassi nella riunione del FOMC di settimana scorsa erano pari a zero, quelle che lo faccia tra un mese nell’ultima riunione dell’anno restano invece molto elevate, anche perché Powell ha segnalato che continuano a sussistere tutte le motivazioni del caso: economia molto forte e mercato del lavoro dove cominciano a emergere tensioni sui salari. Per questo è da guardare con attenzione il dato sull’inflazione USA a ottobre, che esce mercoledì. E’ attesa un’accelerazione al 2,4% dal 2,3% di settembre, ma i salari viaggiano molto più veloci, l’ultimo dato dice 3,1% con alcuni settori che riportano rialzi del 5 e persino del 10%. Che a Trump piaccia o no, ci sono tutti gli ingredienti per un pericoloso surriscaldamento dell’economia che la Fed ha il dovere non solo di evitare, ma di prevenire. Con un quarto di punto a dicembre i Fed Fund arriverebbero al 2,5% a soli due quartini da quel 3% che molti indicano come il ‘tasso neutrale’ che Powell ha in mente di raggiungere.


LA CINA SI AVVICINA, A BUENOS AIRES


Mancano meno di tre settimane al G20 che si terrà a Buenos Aires il 30 novembre e il 1 dicembre, quando Trump e Xi dovrebbero vedersi per confermare la tregua sui dazi che sembra abbiano già convenuto a telefono una decina di giorni fa. Arrivare a una tregua e poi a un accordo come già successo per il Nafta è una necessità per Trump, che deve stare attento a non scontentare il suo elettorato con gli effetti negativi che la guerra commerciale a lungo andare avrebbero sulle imprese, specialmente di dimensione minore, ma lo è ancora di più per Xi, perché un rallentamento degli scambi indotto dai dazi si andrebbe ad aggiungere a quello indotto dalle restrizioni al credito imposte da Pechino. Una delle armi usate da Pechino si chiama Yuan, che da inizio anno ha perso il 6,5% contro dollaro. Ma, come mostra il grafico qui sotto, gli scambi con l’estero continuano a pesare negativamente su un PIL che comunque continua a crescere a un passo rispettabilissimo del 6,5%.

[caption id="attachment_132189" align="alignnone" width="550"]Le componenti del PIL cinese (Fonte: Thomson Reuters Datastream/Marius Zaharia) Le componenti del PIL cinese (Fonte: Thomson Reuters Datastream/Marius Zaharia)[/caption]


IL BAROMETRO DELLA BREXIT NON SEGNA BEL TEMPO


Il problema di Theresa May, prima ancora di riuscire a spuntare un accordo decente sulla Brexit con Bruxelles, è quello di farsi approvare dal suo Parlamento la piattaforma con cui va a negoziare con i partner europei. Le speranze che si possa arrivare entro il mese a un vertice straordinario in cui chiudere una bozza di accordo da dettagliare successivamente entro la scadenza del 29 marzo non sono del tutto svanite, ma resta una strada in salita. Il barometro più preciso delle condizioni del tempo sul fronte Brexit è il cross sterlina/dollaro americano, che gli specialisti di questo particolare mercato chiamano ‘cable’ da quando i dati viaggiavano sul cavo sottomarino transatlantico. In chiusura settimana scorsa con una sterlina si compravano quasi 1,30 dollari americani, ben sotto i massimi della prima metà dell’anno ben sopra 1,4. E il mercato non è ottimista per il futuro. Reuters calcola che il rapporto tra opzioni put (vendita) e call (acquisto) sulla moneta britannica sia vicino ai massimi di due anni. A novembre del 2016 con una sterlina si comprava appena poco più di 1,2 dollari.
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