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Federal Reserve

Attenti a non farsi ingannare dai botti di fine anno

Quasi mai i movimenti anche bruschi di fine anno sono l’anticipazione di un trend per i 12 mesi successivi. La convinzione della Fed sulla forza dell’economia alla prova dei fatti. Rischio petrolio se il calo accelera.

24 Dicembre 2018 07:00

Sotto l’albero un bel pacco con un grosso punto interrogativo. Hanno ragione il mercato e Donald Trump, che temono che la Fed di Jay Powell stia esagerando e rischi di far deragliare la ripresa americana con i suoi rialzi dei tassi anche nel 2019? O ha ragione Powell nella sua determinazione a portare i tassi al livello ‘neutrale’ del 3% dall’attuale 2,5% sostenendo che l’economia americana è forte abbastanza da poter fare a meno di una politica monetaria accomodante? O magari hanno ragione tutti e due ma sono completamente fuori sincrono? Venerdì John Williams, presidente della Federal Reserve Bank di New York, ha provato a mettersi in sintonia con i mercati spiegando che la crescita economica è forte e rimarrà tale e aggiungendo che tra i dati di cui la banca centrale tiene conto nelle sue decisioni c’è anche l’andamento dei mercati. Ma l’euforia con cui Wall Street ha accolto le sue parole non è durata molto. Ovviamente i mercati non temono solo che la Fed stia esagerando, ma anche che la lunga lista di rischi che le economie hanno davanti, dalla guerra dei dazi alle conseguenze del brusco calo del petrolio, dalla Brexit alle turbolenze politiche europee fino al presunto rallentamento cinese, si trasformino in fatti reali su cui dover fare i conti.

POSIZIONI SMONTATE DOPO UNA CORSA DI 3 ANNI


In ogni caso, quando si parla di correzioni, mercato Orso, ipervenduto, curva piatta dei tassi americani che potrebbe annunciare una recessione da qui a 18-24 mesi, bisogna forse mettere le cose in prospettiva. E’ vero infatti che i principali indici di Wall Street sono in pieno territorio correzione con sconfinamenti in quello dell’Orso. Ma è anche vero che rispetto a minimi anche piuttosto recenti hanno ancora margini di tutto rispetto. Prendiamo a riferimento l’inizio del 2016, quando il mercato oscillava in condizioni tecniche simili alle attuali. Lo S&P 500 era in area 1.800 punti, oggi siamo a ridosso dei 2.500 punti. Se poi guardiamo a singoli comparti, come i tecnologici, o a singoli titoli, come Amazon, la distanza diventa abissale. A inizio 2016 il colosso dell’e-commerce viaggiava in area 500 dollari, oggi, pur essendo entrata tecnicamente nel territorio dell’Orso, vale a dire oltre il 20% sotto i massimi recenti, viaggia pur sempre in vista dei 1.500 dollari. E qui forse possiamo tentare un ragionamento, che poco ha a che fare con la tenuta dell’economia. Non è che qualche grande investitore, a fronte di movimenti di questa portata, sta smontando posizioni sulle quali i margini a distanza di meno di 3 anni sono comunque imponenti?

LE ROTAZIONI E UNA CURVA CHE POTREBBE RADDRIZZARSI


E magari è iniziata una rotazione profonda che si vedrà sugli indici solo tra qualche mese. Oppure prendiamo la curva piatta, ma non ancora invertita, dei tassi americani. Se si inverte veramente dovrebbe segnalare recessione in arrivo tra la seconda metà del 2019 e il 2020, almeno così è stato negli ultimi 40 anni. E se invece nei prossimi mesi riassumesse un aspetto più normale con una certa distanza tra i tassi a 2 anni e quelli a 10 e a 30? Tutto sommato potrebbe essere il ragionevole effetto combinato di una Fed che raggiunge il traguardo della neutralità, e quindi non spinge più verso l’alto i tassi delle scadenze brevi, ma prosegue con il Quantitative Tightening, vale a dire non reinveste man mano che i titoli accumulati negli anni del QE vengono a scadenza lasciando il compito al mercato. Sono titoli prevalentemente a scadenze lunghe, e l’effetto potrebbe essere di avere un’offerta che il mercato fa qualche fatica a coprire, con conseguente rientro dei prezzi e recupero dei rendimenti. Se a metà 2019 ci trovassimo con i Fed Fund al 3%, i tassi a due anni sostanzialmente allineati e quelli a 10 intorno al 4% non sarebbe poi uno scenario così irrazionale.

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PETROLIO PERICOLOSO SE IL RIBASSO ACCELERA


Anzi sarebbe la dimostrazione che Powell alla fine aveva ragione, e che l’economia americana è abbastanza forte da correre anche senza le stampelle di una Fed accomodante con i tassi a lungo termine che prendono atto della nuova situazione. Restano tutte le altre incognite, dalla guerra dei dazi alla Brexit. Ma forse la più pericolosa si chiama petrolio. La caduta di Brent e Wti dai massimi di inizio ottobre è stata molto importante, ma non ha innescato effetti drammatici, almeno finora. Se dovesse accelerare potrebbe esserci da preoccuparsi, per l’effetto combinato che potrebbe avere su almeno tre fronti. Il primo è quello dei titoli energetici, che pesano molto sui listini americani ma ancora di più su quelli europei. Il secondo è quello dei mercati emergenti, che di un ulteriore calo di petrolio e commodity proprio non hanno bisogno nel momento in cui stanno rialzando la testa. Il terzo e più pericoloso è il fronte dell’inflazione. Prezzi al consumo che scendono causa petrolio e Fed che continua a alzare i tassi costituiscono uno scenario che farebbe diventare incandescente il confronto/scontro tra Casa Bianca di Donald Trump e Banca Centrale di Jay Powell, con implicazioni molto negative sulla credibilità di quest’ultima.

BOTTOM LINE


I movimenti e i sussulti di fine anno non sono quasi mai un elemento utile di previsione per capire quello che succederà l’anno dopo. Anzi, di solito tendono ad esagerare ed estremizzare trend in esaurimento come i fuochi d’artificio alla fine della festa. Prendere posizione in base a questi sussulti non solo non è molto razionale, ma potrebbe essere pericoloso. Meglio godersi il panettone e aspettare almeno le prime settimane del 2019.
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