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Asia, 1.700 miliardi l’anno per le infrastrutture. Occasione per le imprese italiane

Intanto Trump mette sul piatto mille miliardi di dollari per le infrastrutture americane. Secondo Claudia Segre di GLT Foundation le aziende italiane riusciranno a inserirsi.

3 Marzo 2017 10:53
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Millesettecento miliardi di dollari all’anno. A tanto ammonta, secondo la stima dell’Asian Development Bank (ADB), il fabbisogno di investimenti nell’Asia pacifica per mantenere l’attuale ritmo di crescita economica. Nei 45 paesi compresi nel report dal titolo “Soddisfare le esigenze di infrastrutture dell’Asia” esiste una carenza di investimenti in diversi settori strategici per lo sviluppo dell’economia. Energia, trasporti, telecomunicazioni, servizi idrici e sanitari: questi i settori che, secondo l’ADB, necessitano di 26.000 miliardi di dollari fino al 2030. Una somma enorme, che fa impallidire il trilione di dollari (ovvero mille miliardi di dollari) annunciato da Trump al Congresso per ammodernare le infrastrutture americane e “creare milioni di posti di lavoro”.

IL CONFRONTO CON GLI USA - Tuttavia, anche restringendo il campo solamente ai trasporti, le esigenze infrastrutturali di Asia e Usa sono strategicamente diverse. I paesi asiatici, infatti, devono costruire ex novo strutture ancora inesistenti, per le quali la cifra stimata è di 8.400 miliardi. Secondo un report dell’American society of civil engineering (ASCE), invece, gli Usa hanno bisogno di 5.100 miliardi di dollari fino al 2040 per ammodernare aeroporti e ferrovie, che risentono del passare degli anni.

[caption id="attachment_113300" align="alignnone" width="550"]Il porto del Pireo (Grecia) acquistato dalla cinese Cosco Il porto del Pireo (Grecia) acquistato dalla cinese Cosco[/caption]

LA NUOVA VIA DELLA SETA - Quello delle infrastrutture – da costruire o da ristrutturare – è dunque un tema al centro del dibattito politico internazionale. Senza ferrovie e porti in grado di accogliere e distribuire merci, i prodotti non trovano sbocchi commerciali e nuovi mercati. Un concetto chiaro alla Cina di Xi Jinping, che nel 2013 ha lanciato il progetto “One belt one road”. L’idea è quella di aprire una rotta rapida e sicura verso il ricco mercato europeo, sbocco quasi naturale per la mastodontica produzione cinese. In realtà le rotte sono due. La prima è la “Nuova via della seta”, un percorso ferroviario (supportato da gasdotti, reti elettriche e altro) che collega la Cina occidentale a Madrid, già finanziato con 40 miliardi di dollari da Pechino. La seconda è una rotta marittima che attraversa l’Oceano indiano, il Canale di Suez e arriva fino al Pireo, recentemente acquistato proprio dai cinesi. L’intenzione dell’Italia, come sottolineato dal presidente Mattarella durante la recente visita in Cina, è quella di proporsi – mille anni dopo Marco Polo – come ponte tra il gigante asiatico e l’Europa, puntando non a caso sui moli del porto di Venezia.

I PROGETTI DELL’ALTRA ASIA - Ma la Cina non è l’unico paese asiatico a scommettere sulle infrastrutture. Il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte, ad esempio, ha intenzione di investire 160 miliardi di dollari in infrastrutture a sostegno della crescita. Una tendenza seguita anche dalla Malesia e dall’Indonesia, dove il governo vuole collegare le isole principali con un’autostrada. Punta invece al rifacimento della sua decadente rete ferroviaria l’India, che stima investimenti per 1.500 miliardi di dollari in dieci anni. In Pakistan il presidente Nawaz Sharif ha basato parte della campagna per la sua rielezione sulla promessa di colmare il gap energetico e infrastrutturale del paese.

https://twitter.com/ADB_HQ/status/836916432361439232

LOTTA ALLA POVERTÀ - “La domanda di infrastrutture dell’intera Asia pacifica – ha commentato il presidente dell’ADB Takehiko Nakao – va ben oltre la disponibilità attuale. L’Asia necessita di infrastrutture nuove e moderne, che fisseranno lo standard di qualità, favoriranno la crescita economica e risponderanno all’impellente sfida globale del cambiamento climatico”. Negli ultimi anni la povertà nell’area è diminuita grazie alla crescita economica, ma esistono ancora 400 milioni di persone senza elettricità, 300 milioni senza acqua potabile e circa 1,5 miliardi che non hanno accesso alla sanità di base. “Poiché il settore privato è essenziale per soddisfare le esigenze di infrastrutture nell’area – ha spiegato Nakao – l’ADB promuoverà politiche che favoriscano gli investimenti e riforme normative e istituzionali volte a sviluppare una serie di progetti finanziabili per partnership pubbliche-private”.

IL FABBISOGNO - Nel dettaglio, secondo l’ADB, tenendo conto dei costi climatici, serviranno investimenti pari a 14.700 miliardi di dollari nel settore energia, 8.400 miliardi nei trasporti, 2.300 miliardi nelle telecomunicazioni e 800 milioni per sanità e costi idrici. Un fabbisogno più che raddoppiato rispetto alle stime della stessa ADB nel 2009.

OCCASIONE PER L’ITALIA – A conti fatti, i paesi asiatici saranno costretti a investire di più nelle infrastrutture. Ma saranno in grado di attirare grandi flussi di capitali privati? Secondo Claudia Segre, presidente della Global Thinking Foundation, la risposta è affermativa sia per “le performance economiche trainate dalla ripresa definitiva di Cina e Giappone” che per “la crescita dei consumi interni”. E le imprese italiane riusciranno a inserirsi in questo business: “L’adesione dell’Italia alla AIIB (Asian infrastructure investment bank, ndr) e alla stessa ADB – spiega Claudia Segre – sono carte a favore del nostro paese, un’ulteriore porta aperta da sfruttare. Inoltre il naufragio del Trattato transpacifico (TPP) rappresenta un’occasione per l’Italia e per l’Europa per inserirsi negli spazi lasciati dagli USA. Sono molti i canali in cui l’Italia può inserirsi”.
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