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Federal Reserve

L'America non è la Turchia. Powell tira diritto sui tassi, guardia alta sull’inflazione

Il capo della Fed ignora le insofferenze di Trump, vuole evitare che l’economia si surriscaldi e non teme una replica della crisi asiatica del 1998, che indusse in errore Greenspan. L’economia forte continuerà.

24 Agosto 2018 17:27
financialounge -  Federal Reserve inflazione Jackson Hole Jerome Powell USA

Anche questa volta il capo della Fed Jay Powell ha parlato poco ma ha detto più cose del solito. Il percorso di graduale rialzo dei tassi “resta appropriato”. L’economia si è rafforzata in modo sostanziale, e la forte performance continuerà. Non sembra ci siano rischi di surriscaldamento. In ogni caso farà “qualunque cosa sia necessaria” sull’inflazione, anche se non ci sono segni di accelerazione oltre il 2%. Forse a usare toni così insolitamente chiari per il suo stile lo ha indotto il presidente che lo ha nominato, Donald Trump, che nei giorni scorsi aveva manifestato insofferenza per l’aumento del costo del denaro da parte della Fed. Ma forse c’è qualcosa di più. Magari Powell non vuole fare lo sbaglio di Greenspan, che nel 1998 abbassò tre volte consecutive i tassi spaventato dalla crisi asiatica, che molti richiamano oggi per le difficoltà della Turchia e di altri emergenti, proprio mentre l’economia americana aveva bisogno di essere rallentata perché si stava gonfiando la bolla della new economy.

MENO CONDISCENDENTE ALLA POLITICA DI JANET


In ogni caso il discorso di Powell al simposio delle banche centrali di Jackson Hole, in Wyoming, è suonato come un forte richiamo dell’indipendenza della Fed, che ha scelto una strada e la prosegue fino in fondo, anche se alla politica può non piacere. Gli Stati Uniti non sono la Turchia, dove l’inflazione al galoppo e una moneta in caduta libera imporrebbero una stretta monetaria, ma la banca centrale si sottrae al suo dovere perché un aumento del costo del denaro non piace al presidente ‘forte’ Erdogan. Powell si sta mostrando meno condiscendente alla politica, e anche meno impressionato da quello che si legge sui titoli dei giornali, dalla guerra dei dazi ai mercati emergenti che sarebbero entrati in territorio Orso, di quanto non fosse la sua predecessora Janet Yellen, che nel 2016 aveva accordato una ‘tregua elettorale’ tenendo fermi i tassi che invece avrebbe dovuto alzare. E Powell ha anche alla spalle una Fed decisamente compatta.

LA POLITICA NON INFLUENZA LA FED


A ogni buon conto infatti Powell aveva mandato avanti, giovedì sera, due pesi grossi della banca centrale, il capo della Fed di Dallas Robert Kaplan e la numero uno della Fed di Kansas City, che oltretutto organizza il simposio, Esther George, per mandare a dire a Washington che l’autorità monetaria non prende ordini. Interrogato su un Trump che si era detto ‘non entusiasta’ dei regolari rialzi dei tassi, Kaplan aveva replicato che “il mestiere della Fed è prendere decisioni di politica monetaria e sovrintendere il sistema, senza influenze e considerazioni politiche. E continueremo a farlo." Qualche ora prima anche la George aveva difeso l’indipendenza della Fed, pur evitando di rispondere direttamente a Trump.

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VERSO LA NORMALITÀ MONETARIA


Da quando Trump si è insediato alla Casa Bianca, la Fed ha alzato cinque volte i tassi, tre nel 2017 e due nel 2018, e le attese sono per altre due repliche entro fine anno, con l’aggiunta di altre tre nel 2019, il che vuol dire portare il costo del denaro dall’attuale 1,75-2% in area 3%, ripristinando così la ‘normalità monetaria’. Kaplan ha aggiunto di essere molto positivo sull’economia, che vede in crescita vicino al 3% quest’anno, anche se la spinta della riforma fiscale e della spesa pubblica prima o poi si esaurirà con un rallentamento attorno al 2% nel lungo termine, grazie soprattutto ai consumi. Come Powell, anche Kaplan non vede effetti visibili della guerra dei dazi, mentre lo preoccupano di più situazioni potenzialmente esplosive politicamente, come l’Iran e il Venezuela.

BOTTOM LINE


Una mano salda sul timone della Fed è la migliore garanzia per i mercati, anche se il prezzo da pagare per Wall Street dovesse essere una corsa un po’ meno esuberante del Toro e magari qualche preoccupazione in più per la curva dei tassi.
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