Contatti

L'analisi

L’Africa resta una promessa d’investimento difficile da mantenere, ecco perché

Dalla fine della guerra fredda si accendono speranze che possa sprigionare l’enorme potenziale fatto di risorse naturali e dinamiche demografiche. La Cina in ritirata apre a scenari non per forza positivi

di Virgilio Chelli 18 Marzo 2024 08:19
financialounge -  Africa economia Weekly Bulletin

L’Africa è destinata ad essere un motore importante della crescita economica globale nei prossimi 30 anni, grazie alla spinta demografica, all’abbondanza di risorse naturali, economie in rapida crescita, maggior stabilità politica e un ambiente sempre più favorevole alle imprese, con chiare opportunità di investimento. E’ un giudizio abbastanza diffuso, basta farsi un giro sul web per verificarlo, ma le stesse cose avrebbero potuto essere state scritte una trentina e passa di anni fa, quando la guerra fredda finiva sotto le macerie del muro di Berlino, liberando i paesi del continente dalle alleanze obbligate con uno dei due blocchi, mentre l’African National Congress di Mandela si preparava a vincere le prime elezioni libere del Sudafrica, che sembrava destinato ad assumere la guida del rinascimento africano, a partire dall’economia. A distanza di 35 anni le profezie che si sono succedute si sono solo molto parzialmente avverate, anche se tanti continuano a vedere chiare opportunità di investimento.

IL PIL CRESCE PIU’ RAPIDAMENTE MA RESTA SOTTO IL 3% DEL GLOBO


L’African Development Bank ci dice che ben 11 delle 20 economie globali a crescita più veloce sono africane con un aumento medio del PIL in accelerazione dal 3,8% l’anno scorso al 4,2% nel 2024 e nel 2025, contro il 2,9% e il 3,2%, del resto del mondo dove l’Asia resta comunque in testa. Ma la lista è fatta di Niger, Senegal, Libia, Ruanda, Costa d’Avorio, Etiopia, Benin, Gibuti, Tanzania, Togo e Uganda, non esattamente protagonisti di miracoli economici. Intanto il contributo africano al PIL globale resta sotto il 3%, mentre la popolazione rappresenta ben il 18% di quella del pianeta. Sono 1,4 miliardi di potenziali consumatori ma solo in Sudafrica la capacità individuale di spesa supera appena i 10 dollari e gran parte del continente è sotto i 5.

ELETTRICITA’ CHIAVE DELLO SVILUPPO, MA IN TROPPI SONO ESCLUSI


Dall’inizio del millennio gli investimenti non sono mancati, soprattutto dalla Cina, che ha speso molto in infrastrutture, ma concentrandosi su quelle necessarie allo sfruttamento delle ingenti risorse di materie prime, e non all’economia nel suo complesso. Anche le risorse umane sono state considerate dai cinesi come commodity e non come capitale in cui investire per lo sviluppo. La priorità assoluta per la crescita africana è l’elettricità, senza la quale non si producono beni e servizi, scuole e ospedali non funzionano, L’accesso all’elettricità è il principale freno a mano tirato che impedisce lo sviluppo. Nelle altre due grandi aree emergenti, Sudest Asia-Pacifico e America Latina supera i 98%, gran parte del continente africano non arriva al 75% con tutta l’Africa sub-sahariana sotto il 50%, Sudafrica escluso, e vaste aree addirittura sotto il 25%.

CINA IN RITIRATA, BAZAAR GEOPOLITICO, ARRIVANO GLI ARABI


Ora, ci avverte l’Economist in una recentissima analisi, con il declino della Cina l’Africa sta diventando per i politici locali una specie di bazaar geopolitico, dove a offrire investimenti sono le medie potenze emergenti, come Brasile, India e Turchia, e finora in misura minore anche gli Emirati, l’Arabia Saudita e il Qatar. I paesi del Golfo con le tasche gonfie di petrodollari promettono agli africani grandi benefici economici, come hanno fatto i Sauditi al loro primo summit sull’Africa a novembre, mentre nel 2022 gli Emirati si sono impegnati a investire sette volte quello che spendono nel continente le multinazionali USA, ma gli stessi soldi potrebbero andare a finanziare anche guerre di cui non si sente il bisogno. Intanto la DP World di Dubai già gestisce porti in nove paesi africani.

AIUTI OCCIDENTALI IN FRENATA DOPO L’UCRAINA


La lista è lunga, mentre l’Economist ricorda che i prestiti offerti dalla Cina all’Africa sono crollati dell’80% tra il 2018 e il 2022 con anche gli aiuti occidentali in netta frenata dopo la guerra in Ucraina. Ad alcuni in Occidente non dispiace che i soldi mediorientali sostituiscano quelli dei cinesi, ma la combinazione di petrodollari e ambizioni delle milizie armate così diffuse in Africa, dal Sudan alla Libia, può diventare più pericolosa degli stessi cinesi per l’Occidente, come si sta vedendo ad esempio nella crisi del Mar Rosso. Gli USA stanno a guardare sempre più da lontano e l’Europa si muove in ordine sparso, con l’Italia che cerca di aggregare su un progetto di crescita economia e sociale e la Francia che continua a muoversi come ai tempi della guerra fredda.

NON MANCANO OPPORTUNITA’ SETTORIALI E REGIONALI


Per l’investitore, l’Africa rimane una promessa difficile da mantenere. Le opportunità da cogliere con fondi specializzati o ETF, evitando magari di avventurarsi sui singoli mercati azionari e obbligazionari, vanno dalle infrastrutture, al real estate, alle risorse naturali, all’agricoltura, a singoli settori e aziende: startup, fintech, PMI locali. Ma la discriminante del rischio geopolitico passa trasversalmente praticamente per tutte le aree e tutti i settori, e frena l’affermarsi di leadership potenziali, oltre al Sudafrica anche in Etiopia, Nigeria e Egitto.

BOTTOM LINE


Fino a che non si consoliderà una governance affidabile, basata sulla certezza di diritto e regole, l’Africa resterà un’opportunità difficile da cogliere, ma da monitorare con attenzione. Può diventare un potente motore di crescita globale che si affianca all’Asia, ma anche campo di scorribande spregiudicate dei paesi mediorientali che stanno cercando di prendere il posto della Cina. Servirebbe il catalizzatore di un’Europa un po’ più attenta al grande vicino sdraiato a Sud.
Share:
Trending