Geopolitica

Equilibri globali in movimento con nuovi attori, occhio a sauditi e indiani

Il nuovo ordine bipolare USA-Cina è meno scontato di quello che sembra, mentre prende forma un’area eterogenea che vuol giocarsi la partita senza finire per forza sotto l’ala del Lord Protettore di Pechino

di Virgilio Chelli 11 Aprile 2023 08:36
financialounge -  economia Weekly Bulletin

Una sessantina d’anni fa, quando la cortina di ferro spaccava in due l’Europa e segnava il confine ‘fisico’ più caldo tra i due blocchi, URSS e satelliti da una parte e occidente capitalista a trazione USA dall’altro, il movimento dei non allineati raggruppava un centinaio di paesi – tutto il Medioriente e quasi tutta l’Africa, pezzi di America Latina e una larga parte dell’Asia del Sud, dall’India all’Indonesia. Il gruppo, fondato nel 1961 dal presidente jugoslavo Tito, comunista ma non sovietico, dall’indiano Nehru, dall’egiziano Nasser e dall’indonesiano Sukarno, pendeva più verso la Russia sovietica, ma cercava di giocarsi in relativa autonomia la partita del nuovo ordine globale nato con gli accordi di Yalta tra le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale. Sulla carta i Non Allineati esistono ancora e dovrebbero tenere il diciannovesimo summit della loro storia in Uganda entro fine anno, ma di fatto sono un relitto della storia praticamente cancellato dal crollo del muro di Berlino del 1989 e dal collasso dell’URSS due anni dopo.


CHI NON VUOL ESSERE UN PURO GREGARIO DI CINESI E AMERICANI


Ma, con la Cina che ha preso il posto dell’URSS come superpotenza antagonista degli USA anche se in un confronto meno militare (per ora) e più economico e tecnologico, il problema dell’agibilità politica per chi non vuole essere un puro gregario dei due sembra tornato d’attualità. I protagonisti possibili sono più o meno gli stessi di allora, Medioriente, India, Sudest asiatico, pezzi di Africa e America del Sud. Ovviamente Pechino si candida a fare da Lord protettore di tutta quest’area variegata, ma c’è chi sembra abbia voglia di giocarsi la partita in autonomia, approfittando anche dalle crepe aperte nell’ordine globale post-guerra fredda dalla pandemia prima e dalla guerra in Ucraina poi, con la spirale perversa ora in attenuazione di inflazione, shock energetico e strozzature nelle catene globali di forniture.


AMBIZIONI ARABE OLTRE IL PETROLIO


Tra i candidati che vogliono giocarsela da protagonista sta emergendo l’Arabia Saudita con i satelliti del petrolio al seguito. Il taglio produttivo deciso da Opec + è solo l’ultima mossa di un attivismo diplomatico e finanziario molto ambizioso. L’era del petrolio si avvicina a un lento tramonto, ma i petrodollari accumulati e investiti in tutto il mondo ci sono ancora. Per realizzare il progetto Vision 2030, che vuol fare della penisola araba l’hub digitale e di telecomunicazioni di Asia, Africa e Europa, con un ruolo chiave assegnato all’Egitto, servono 3.200 miliardi di dollari; quindi, è importante tenere il prezzo del petrolio abbastanza alto. Ma servono anche buone relazioni con i vicini, a cominciare da Iran e Iraq, entrambi a maggioranza sciita a differenza degli arabi che sono sunniti.


LA SPONDA INDIANA E LA DISTANZA DAGLI USA


La benedizione cinese resta importante, per cui le relazioni diplomatiche con Teheran sono state ripristinate in un incontro a Pechino, proprio mentre il presidente francese Macron e la capa della Commissione UE von der Leyen venivano ricevuti dall’imperatore Xi Jinping. Un’altra priorità saudita sono le buone relazioni con l’India, fortemente volute anche dal premier di Dehli Modi, che rappresenta un partner decisamente meno ingombrante della Cina, con i capitali arabi che possono risultare molto utili ad accelerare la modernizzazione produttiva del grande paese. La vicinanza a Mosca, almeno in materia petrolifera, contribuisce invece ad allargare la distanza con gli USA di Biden, dopo che i legami erano diventati invece strettissimi ai tempi di Trump.


PARADIGMA BIPOLARE SEMPRE MENO CERTO


Il grande gioco della geopolitica alla ricerca di nuovi equilibri dopo gli shock degli ultimi tre anni si è rimesso comunque in moto, e il bipolarismo di America e Cina sembra un paradigma sempre meno certo.  Anche perché, come ha osservato di recente l’Economist, non tutti sono disposti a digerire un ordine globale costruito su due pilastri uno dei quali vuol essere influente ma senza suscitare simpatia, punta al potere ma non gode di fiducia, e proclama una visione globale ma non riconosce i diritti umani universali. E c’è anche chi sostiene che l’attuale modello cinese non sia sostenibile e prevede un collasso simile a quello dell’URSS nel giro di una decina d’anni, come l’analista geopolitico americano Peter Zeihan. Secondo l’esperto due trend strutturali giocano a sfavore e puntano a un aumento insostenibile del debito pubblico e privato: l’invecchiamento della popolazione senza adeguato ricambio, e la persistente dipendenza eccessiva dall’export.


BOTTOM LINE


Posizionarsi in un mondo alla ricerca di nuovi equilibri dopo trent’anni di solide certezze è la sfida che oggi l’investitore deve affrontare. Le turbolenze anche grosse che scaturiscono a volte da tempeste in un bicchier d’acqua e che nulla hanno a che fare con i cambiamenti epocali in corso di certo non aiutano. Le certezze consolidate offrono stabilità, i cambiamenti offrono opportunità con un aumento sia del ritorno possibile che del rischio che si corre per conseguirlo.
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