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Idee di investimento – Obbligazioni – 19 febbraio 2018

Nonostante il recente rialzo dei tassi, i titoli obbligazionari restano complessivamente all’interno di un percorso di rendimenti bassi nel medio lungo termine.

19 Febbraio 2018 09:19
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Visto il contesto internazionale, le prospettive di crescita e di inflazione, l’attuale rendimento delle obbligazioni europee appare eccessivamente limitato. Lo dice, nell’articolo “Obbligazioni, i rendimenti dei bond europei sembrano troppo bassi”, Tim Haywood, Responsabile delle strategie obbligazionarie Absolute Return di GAM, alla luce del fatto che il mercato ipotizza che il quantitative easing europeo finisca a settembre di quest’anno e che i tassi di interesse euro salgano sei mesi dopo. “Quando la BCE introdurrà questi rialzi saranno piuttosto significativi, dal momento che crediamo che il desiderio di tornare a interessi pari a zero e poi ad un segno positivo stia diventando forte” specifica il manager. Infatti, secondo Tim Haywood, nel momento in cui si è convinti che i tassi USA siano sulla via della normalizzazione (ovvero che procedano abbastanza in linea con le aspettative di crescita e inflazione) e che i prezzi al consumo siano misurati in modo identico sia in Europa che negli Stati Uniti, allora l’unico valore che risulta anomalo è quello relativo ai rendimenti dei bond europei, semplicemente troppo bassi.

Intanto, come spiega nell’articolo “Obbligazioni, permane la visione di luogo termine di rendimenti bassi nel tempo”, Gene Frieda, Global Strategist di PIMCO, sembrano emergere tre rischi in grado di procurare incertezza sul potenziale cambio di regime nei mercati obbligazionari. Fermo restando che i rendimenti obbligazionari più elevati a breve termine rafforzano la view a lungo termine del manager in base alla quale i rendimenti obbligazionari resteranno ridotti nel tempo. Ma quali sono le tre fonti di rischio individuate da Gene Frieda? In primis la politica monetaria statunitense. La politica fiscale potrebbe alimentare le aspettative inflazionistiche che, a cascata, potrebbero irrigidire il percorso delle normalizzazione della politica monetaria statunitense con rialzi più rapidi e numerosi rispetto alle attese. “In secondo luogo, l'integrazione dei principali mercati obbligazionari potrebbe diventare un problema se la BCE e la BOJ tentassero di normalizzare la politica” puntualizza Gene Frieda che come terzo rischio indica, invece, il deprezzamento del dollaro USA che ha perso circa il 10% rispetto allo scorso anno contro un paniere di valute globali.

Attenzione, però, perché l’aumento delle tensioni commerciali potrebbe risollevare le quotazioni del dollaro americano dopo un anno di continua svalutazione. Come argomentato nel dettaglio nell’articolo “Dollaro pronto al rimbalzo dopo 12 mesi di flessioni”, il commercio internazionale sembra infatti destinato ad essere il tema principale del 2018: basti pensare che, a parte i tassi di interesse, nella mente degli strategist valutari in questi giorni non sembra esserci altra preoccupazione. D’altra parte la retorica del commercio ha assunto una svolta protezionistica negli ultimi tempi, con il presidente Donald Trump che ha minacciato di porre fine agli accordi commerciali internazionali, come l’accordo di libero scambio nordamericano tra Stati Uniti, Canada e Messico (il cosiddetto NAFTA). Adesso, quindi, potrebbe succedere che, a fronte di un consenso generalmente negativo sulle prospettive del dollaro a breve e medio termine, la posizione intransigente proclamata dall’amministrazione Trump in tema di commercio estero possa fornire il potenziale catalizzatore per un rafforzamento del dollaro in modo che possa recuperare parte del terreno perduto.

Ma dove potrebbe spingersi il cambio eur/ usd nei prossimi 3-6 mesi? A questo interrogativo ha risposto, nell’articolo “Mercati, nel 2018 più volatilità con meno rendimento”, Edoardo Ugolini, Portfolio Manager di Zest Asset Management e gestore del fondo [tooltip-fondi codice_isin="LU0397464685"]Zest Absolute Return Var 4[/tooltip-fondi]: “La manovra fiscale di Trump farà accelerare ancora di più, nel breve, la crescita americana, già vigorosa, costringendo i tassi a salire. In Europa la situazione è ben diversa. La nostra view è che il cambio eur / usd tenda ad oscillare tra 1,25 e 1,15 per un po’ di tempo”.

L’andamento del dollaro potrebbe avere impatti significativi anche sui mercati emergenti ma, secondo il team settoriale mercati emergenti di Loomis Sayles (affiliata di Natixis Investment Managers), è comunque probabile che il trend positivo del debito emergente possa proseguire nel 2018, sebbene con rendimenti modesti. Il debito emergente dovrebbe poter sfruttare, in base alle analisi del team, diversi fattori a proprio vantaggio: da una tendenza positiva di crescita nei paesi in via di sviluppo ad una stabilità nell’economia della Cina, dai prezzi delle materie prime relativamente stabili fino a un miglioramento generale nei fondamentali sia degli stati che delle aziende. Il team privilegia il debito emergente in valuta locale che dovrebbe beneficiare sia di un’inflazione stabile (o, addirittura, in tendenziale ribasso) che di tassi di interesse reali, cioè al netto dell’inflazione, relativamente alti. Ma, fa presente il team, non mancano neppure i rischi, a cominciare dalla traiettoria dei tassi di interesse delle banche centrali del G3 (Europa, Giappone e Stati Uniti) e dagli eventi geopolitici persistenti. “Se prendesse corpo l’ipotesi di una migrazione a politiche monetarie meno accomodanti da parte delle banche centrali del G3 si determinerebbe un contesto con impatti negativi sulla maggior parte dei beni dei mercati emergenti” puntualizza nell’articolo “I fattori (positivi e negativi) da osservare per investire nel debito emergente” il team, secondo il quale il focus dovrà essere orientato nei prossimi mesi sulle politiche commerciali degli Stati Uniti, in particolare l’accordo nordamericano per il libero scambio (NAFTA), che potrebbero influire molto sulle prospettive relative all’America Latina.
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