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Arabia Saudita

News & Views – 13 novembre 2017

Insight dalla redazione di FinanciaLounge su quello che si muove nelle economie e nei mercati.

13 Novembre 2017 09:48
financialounge -  Arabia Saudita BCE Mario Draghi News & Views petrolio

Cosa sta dicendo il rialzo del greggio?
Il petrolio ha messo in fila cinque settimane consecutive al rialzo. Non succedeva da oltre un anno, ma l’ultima volta si trattava per il Brent di recuperare dai minimi toccati sotto 40 dollari, questa volta è partito da sopra 50 per andare a sfondare 60 e portarsi a 63,60 alla chiusura di venerdì 10 novembre. Cosa bolle nel pentolone nero del greggio? Molti citano il Golfo, dove i sauditi alzano i toni nei confronti dell’Iran, depongono il premier libanese e si producono in una spettacolare purga di principi e reali. Altri parlano di forniture globali che cominciano a scarseggiare, come effetto dei tagli produttivi dell’OPEC. Ma se i produttori tradizionali chiudono i rubinetti, quelli americani li aprono. Settimana scorsa la produzione USA è balzata a 9,62 milioni di barili mentre si continuano ad aprire nuovi impianti produttivi, 9 solo negli ultimi sette giorni che hanno portato il totale di quelli attivi a 738. Ma la capacità globale di raffinazione resta sotto pressione. Un altro fenomeno strano è che dollaro e petrolio si sono mossi di conserva negli ultimi tempi, vanno su tutti e due, mentre di solito se uno sale l’altro scende. Il movimento si è interrotto solo settimana scorsa, con il dollaro che ha ripreso a cedere, mentre il greggio saliva, salvo un leggero storno venerdì in chiusura. C’è un tipo di circostanza che storicamente produce dollaro e petrolio forte, uno shock geopolitico che impatta sulla produzione di greggio: il biglietto verde sale perché la gente cerca rifugio nella valuta globale di riferimento e il petrolio sale perché si crea una improvvisa strozzatura nel Golfo.

Forse bisogna chiedere a Macron d’Arabia
Il presidente francese è tra i leader globali quello che dovrebbe avere le informazioni di prima mano più fresche su quello che sta succedendo a Riyadh e dintorni. Settimana scorsa si è precipitato senza preavviso in Arabia Saudita. Sembra che abbia parlato con i vertici sauditi della crisi in Yemen e dell’instabilità in Libano. Sono due dei campi in cui gli arabi stanno combattendo quella che per ora è solo una guerra di posizione contro l’Iran. Hanno cominciato qualche mese fa isolando il Qatar, considerato troppo amico degli iraniani. Poi sono andati avanti con l’offensiva contro i ribelli yemeniti, anche questi amici e finanziati da Teheran. Poi sono passati al Libano, facendo dimettere il premier Saad Hariri, che il 3 novembre è dovuto precipitarsi a Riyadh dove è stato appunto dimissionato ed è tuttora trattenuto. In Libano è forte Hezbollah, formazione politico miliare sciita, amica e finanziata sempre dall’Iran. Poi c’è stato il misterioso missile lanciato dallo Yemen verso l’aeroporto di Riyadh, intercettato dai sauditi che accusano gli iraniani di essere dietro l’attacco. Sullo sfondo Trump e Israele, che secondo molti osservatori avrebbe rafforzato i legami con Riyadh e sarebbe pronta a dar man forte, in modo più o meno coperto e con la benedizione USA, proprio ai sauditi, nel caso che la guerra di posizione con l’Iran diventasse un conflitto aperto. Occhio al petrolio, di solito il mercato certe cose le anticipa.

La sfida delle banche centrali: comunicare
A lezione di storytelling con in cattedra i quattro banchieri centrali più noti del pianeta: Mario Draghi della BCE, Janet Yellen della Fed, Haruhiko Kuroda di Bank of Japan e Mark Carney di Bank of England. L’appuntamento è per domani martedì 14 novembre a Francoforte dove i quattro saliranno in cattedra per parlare di “Challenges and opportunities of central bank communication,” vale a dire “Sfide e opportunità della comunicazione delle banche centrali”. Da non mancare, anche perché si confronteranno stili decisamente diversi. Draghi è un incantatore di serpenti solitario, i membri del board possono dichiarare quello che vogliono, tanto i mercati ascoltano solo lui, più i suoi silenzi che le sue parole. Quando a giugno scorso a Sintra in Portogallo non spese una parola sull’euro inaspettatamente forte la gente pensò che approvasse, e la moneta unica si spinse al rialzo. Yellen invece parla molto (ma ancora per poco, a febbraio lascia), e fa parlare molto i suoi. Forse parla troppo e scopre troppo le carte, come quando a dicembre 2015 promise quattro rialzi l’anno successivo per poi farne uno solo 12 mesi dopo. Carney è uscito alla ribalta con la Brexit, prima non faceva titolo, poi è diventato una specie di supplente del Cancelliere dello Scacchiere (alzi la mano chi si ricorda che quello di Theresa May si chiama Philip Hammond) e finora si è comportato bene, parlando poco ma sempre al momento giusto. Kuroda infine, più che un governatore è un portavoce del suo capo, che si chiama Shinzo Abe ed ha appena rivinto le elezioni. Non a caso la politica economica nipponica si chiama Abenomics e non Kurodanomics.
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