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L’amministrazione Trump non è interessata a un dollaro forte

Mentre l’amministrazione Trump non vuole un dollaro forte, una nuova guerra fredda valutaria è partita con Cina, Europa e Giappone da una parte e Stati Uniti dall’altra.

14 Febbraio 2017 10:25
financialounge -  dollaro donald Trump Joachim Fels mercati valutari PIMCO

Tra gli andamenti più interessanti e, per molti osservatori, sorprendenti da inizio anno c’è da registrare il calo del dollaro americano. Dopo aver raggiunto i picchi di fixing degli ultimi 14 anni, il biglietto verde ha ripiegato di circa tre punti percentuali. Si tratta di una pausa momentanea in un trend rialzista di medio lungo termine del dollaro oppure, come sostengono diversi operatori di mercato, il biglietto verde ha già archiviato il picco?

“Quando si parla di cambi valutari è sempre difficile dare una risposta ma una cosa sembra chiara: la nuova amministrazione degli Stati Uniti non è interessata a un dollaro forte” sottolinea Joachim Fels, Consulente economico globale di PIMCO, secondo il quale non si può affatto escludere che si sia entrati in una nuova ‘guerra fredda monetaria’.

“Le guerre fredde non sono combattute in campo aperto, ma con azioni e parole segrete. In un post sul blog di PIMCO sulle valute nel mese di dicembre, ho spiegato come la Banca centrale europea (BCE), la Banca del Giappone (BOJ) e la Banca popolare di Cina (PBOC) hanno inaugurato la guerra fredda valutaria tramite mosse che hanno contribuito al deprezzamento delle loro valute nei confronti del dollaro durante la seconda metà del 2016” ricorda Joachim Fels.

Intanto, dopo che la probabilità di un rialzo dei tassi in marzo dei tassi USA (in base al prezzo dei futures sui fed funds) è scesa al 15% e dopo il segnale accomodante da parte della Banca d'Inghilterra che ha contribuito a far deprezzare la sterlina, sarebbe ora, nella logica di una guerra fredda, il turno di Cina, Europa e Giappone, chiamate a rispondere con mosse segrete tese ad indebolire ancora una volta le loro valute o, quantomeno, ad impedirne il rafforzamento nei confronti del dollaro. Al contrario, però, sembrano tergiversare optando per una pausa temporanea nella guerra fredda delle valute.

Anche perché ora che l'amministrazione Trump si è ufficialmente insediata alla Casa Bianca, sembra essere molto più disposta a usare l'arma nucleare: il protezionismo.

“Gli Stati Uniti mostrano un deficit commerciale di enormi dimensioni mentre Europa, Cina e Giappone vantano ingenti eccedenze bilaterali con gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti rischiano di perdere molto meno (almeno nella loro percezione) da una guerra commerciale, e le dichiarazioni pubbliche di Trump e Navarro suggeriscono che l'azione protezionistica è una minaccia molto credibile.” specifica Joachim Fels.

Non sorprende pertanto che la risposta razionale di Europa, Giappone, Cina e degli altri esportatori consista nel non esagerare con la guerra fredda valutaria e, almeno temporaneamente, consentire qualche apprezzamento delle loro valute rispetto al dollaro in modo da non provocare ulteriormente gli Stati Uniti.

“Le recenti decisioni o le non azioni da parte cinese, giapponese ed europea suggeriscono che questo sta effettivamente accedendo. Se questo sia sufficiente a prevenire l'amministrazione Trump a spingere il pulsante della restrizione commerciale resta però da vedere” conclude Joachim Fels.

** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge. Una parte di contenuti e dati gentilmente concessi da Pimco

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