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Nemmeno Draghi riesce a fermare lo spread

Nonostante le rassicurazioni, non diminuiscono le pressioni sulla BCE per ridurre il quantitative easing prima del previsto, mentre il mercato è in allerta politica.

7 Febbraio 2017 10:14
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Lo spauracchio dello spread torna a scuotere l’Italia. Il differenziale tra il rendimento dei BTP italiani e quello dei Bund tedeschi a 10 anni ha superato quota 200 per la prima volta dal 2014 (questa mattina ha aperto intorno a 198 punti) confermandosi il ‘tema caldo’ delle prossime settimane. Le parole di Mario Draghi in audizione al Parlamento europeo non sono bastate: quando ha cominciato a parlare lo spread viaggiava a 198 e quando ha finito era poco sopra i 200.

Il motivo del recente incremento dopo l’apparente calma pre-natalizia è semplice: nonostante le rassicurazioni il mercato teme che il paracadute della Banca centrale europea possa chiudersi prima del previsto. Ovviamente, per il debito pubblico italiano, questa non è una buona notizia: l’ipotesi di tapering, ovvero la graduale riduzione dell’acquisto di titoli di Stato (il quantitative easing) lascerebbe al mercato fare il prezzo dei BTP, e c’è da scommettere che ne approfitterebbe la speculazione come accaduto in passato nei momenti di tensione sull’Europa.

I timori di un Btp lasciato agli umori del mercato si sommano infatti a quelli alimentati dalle tensioni politiche europee, con Marine Le Pen che in Francia promette di uscire dall’euro se arriva all’Eliseo e Angela Merkel che parla apertamente di Europa a due velocità. Le rassicurazioni di Mario Draghi, che davanti al Parlamento europeo si è spinto a difendere la Germania dalle accuse di Trump di manipolare al ribasso l’euro, non sono bastate: “Abbiamo deciso di estendere il programma di acquisto di asset oltre il marzo 2017 – ha detto il numero uno della BCE - con l'intenzione di proseguire con i nostri acquisti fino alla fine di dicembre 2017 o oltre, se necessario, e comunque fino a quando il Consiglio direttivo vedrà un aggiustamento sostenuto, in linea con il suo obiettivo di inflazione".

Ma secondo molti, tedeschi in prima fila, l’obiettivo in pratica è già raggiunto. In Europa ma non in Italia però, dove fa fatica a riportarsi sopra zero e nei picchi più alti, come lo 0,9% toccato a gennaio, arriva a meno della metà di quella tedesca. Nell’Eurozona, il mese scorso, i prezzi sono cresciuti dell’1,8%, ovvero appena al di sotto del 2% considerato dalla BCE di Mario Draghi, agli albori del quantitative easing, l’obiettivo da raggiungere per decretare lo scampato pericolo. E la Germania, forte di un’inflazione al 2%, è pronta a tornare alla carica per ottenere la riduzione degli stimoli fiscali della Banca centrale europea.

Nel frattempo Paolo Gentiloni e Pier Carlo Padoan, già richiamati all’ordine dalla Commissione UE devono fare i conti con un’economia che continua a non crescere e che vede invece il debito salire. E così i titoli di stato italiani devono guardarsi anche dai Bonos a 10 anni della Spagna che, da qualche mese, hanno contenuto lo spread molto meglio dei Btp. A differenza degli zero virgola fatti registrare dal PIL italiano, quello spagnolo da qualche tempo sta crescendo a ritmo sostenuto. Ciò ha portato gli investitori a preferire i titoli di stato di Madrid, che lunedì hanno chiuso con un rendimento di 1,79%, a quelli nostrani, che invece hanno toccato un rendimento di 2,39%.

È evidente, in questo caso, il rapporto inversamente proporzionale tra crescita economica e spread. La Spagna, insomma, sembra intenzionata a non perdere il treno della ripresa che, stando anche ai dati diffusi dall’IFO di Monaco di Baviera relativi al ‘sentiment’ economico del continente, interesserà la zona Euro nonostante le difficoltà di Grecia, Italia e Portogallo. Se questa è l’Europa a due velocità che ha in mente la Merkel non promette niente di buono.
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