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Brexit

International Editor’s Picks – 07 novembre 2016

7 Novembre 2016 09:30
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Non solo elezioni americane
Il Financial Times ricorda che questa settimana che inizia oggi non ci sono solo le elezioni per il prossimo presidente americano. Oggi si riunisce infatti a Londra la Camera dei Comuni per cominciare il dibattito sulla Brexit dopo che l’Alta Corte ha stabilito che per aprire le procedure di uscita serve un voto del Parlamento. Sarà solo l’inizio del dibattito, anche perché nel frattempo la premier Theresa May ha fatto ricorso contro la sentenza davanti alla Corte Suprema. Proseguiamo con martedì, prima ancora che aprano le urne in USA la Cina pubblicherà i dati delle esportazioni di ottobre, attese in calo del 6% dopo il -10% di settembre. Il giorno dopo, mentre dalle prime ore del mattino potrebbero cominciare ad arrivare le prime indicazioni dall’America, sempre dalla Cina arrivano i prezzi al consumo di ottobre, attesi in accelerazione a 2,1%. Giovedì e venerdì si va avanti con un paio di dati USA, richieste di sussidi di disoccupazione settimanali e l'indice dell’Università del Michigan, ma c’è da scommettere che in pochi li guarderanno.

E se una presidenza Trump fosse positiva per Wall Street?
Andrew Sebastian su Seeking Akpha è convinto che la risposta sia sì, e per una ragione molto semplice: tasse. Che nel programma di The Donald ci sia una riduzione delle tasse sulle imprese, ma anche il rimpatrio degli utili oggi detenuti all’estero dalle grandi corporation proprio per esentarli dalle tasse americane, è noto. Ma Sebastian ipotizza che un Trump alla Casa Bianca possa spianare la strada alla proposta del senatore repubblicano dello Utah Orrin Hatch, presidente della commissione Finanze del Senato, che consentirebbe tra l’altro di dedurre i dividendi dalle tasse, come avviene oggi per gli interessi sul debito, andandoli invece a tassare sul reddito degli investitori che li ricevono. Se fosse adottata, la proposta di Hatch avrebbe un impatto notevole e positivo sulla finanza delle imprese e sulla valutazione degli asset. E renderebbe anche conveniente per colossi come Apple far tornare in patria gli utili oggi lasciati all’estero, che si contano in centinaia di miliardi di dollari. E Wall Street potrebbe anche applaudire.

Tre segnali di una possibile svolta
Li individua l’Economist secondo cui forse i mercati si sono spinti troppo avanti nel prezzare gli effetti della deflazione globale e ora stanno correggendo. Il primo segnale viene dal debito sovrano dei paesi avanzati: nell’immediato dopo Brexit il T-bond a 10 anni ha visto il rendimento scendere all’1,37% per poi recuperare fino all’1,8%, anche il Bund tedesco nello stesso periodo è passato dal -0,18% al +1,13% e i Gilt britannici dallo 0,61% all’1,17%. Il secondo segnale viene dagli asset più a rischio, dall’azionario degli emergenti ai junk bond, che si sono mossi durante l’anno all’unisono verso l’alto. Il terzo è di natura macro, e viene dalla Cina. A inizio anno, insieme ai timori di una raffica di rialzi della Fed, la crescita economica di Pechino era vista a rischio, con effetti pesanti sui mercati. I dati che man mano sono usciti mostrano invece una crescita sostenibile. Deflazione addio? Troppo presto secondo l’Economist, ma i segnali ci sono.
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