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Brexit

International Editor’s Picks – 10 ottobre 2016

10 Ottobre 2016 10:22
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Londra sperimenta la de-globalizzazione.
La Brexit non è soltanto l’uscita dall’Unione Europea, ma il primo serio esperimento di inversione del processo di globalizzazione in atto da 15 anni, probabilmente destinato ad avere successo. Almeno così la pensa il columnist del Wall Street Journal Greg Ip che spiega come il tonfo della sterlina di venerdì non sia stato affatto un incidente di percorso dovuto a un flash trading sballato, ma un passo assolutamente razionale in questa direzione. Funziona così, fuori dalla UE la Gran Bretagna diventa meno competitiva. Per tornare attraente per i capitali esteri deve creare un ecosistema nuovo, fatto di moneta più debole, inflazione e tassi di interesse più alti e meno dipendenza dalle importazioni. Nel breve medio periodo vuol dire abbassare un po’ il tenore di vita dei cittadini di Sua Maestà: addio Provenza, tutti al mare a Blackpool. Ma non per sempre. Solo il tempo che basta per far diventare un surplus l’attuale deficit delle partite correnti, che oggi è il più grande del mondo e viaggia al 5,9% del PIL. In cambio ci si riprende il controllo su leggi e confini.

Ma i big di Wall Street temono per la UE.
“Personalmente penso che dopo la Brexit, le possibilità che l’Unione Europea non sopravviva nei prossimi dieci anni si sono quintuplicate”, parole di Jamie Dimon, il grande capo di J.P. Morgan, raccolte insieme a quelle di altri big di Wall Street dal Financial Times a margine del meeting autunnale del FMI a Washington. James Gorman, chief executive di Morgan Stanley, gli fa eco: “alla fine la Brexit riguarda direttamente la sopravvivenza dell’Unione. E’ stata un successo fenomenale dal punto di vista sociale, economico e militare. Ma questo sembra sia andato perso nelle discussioni in corso in Spagna, Italia e in tutta l’Unione.” E la piazza finanziaria? Chi si avvantaggerà della Brexit? Gorman si chiede chi sia dotato in Europa dell’infrastruttura finanziaria necessaria e la risposta è “credo che alla fine il vincitore sarà New York, è una delle grandi conseguenze della Brexit”. Secondo i bankers inoltre le conseguenze saranno molto dure per l’élite finanziaria globale. Il capo di Standard Chartered Bill Winters dice: dato il clima politico, le critiche di Theresa May alle elites globali sono esattamente la ricetta giusta, ma per noi, che siamo quell’elite, è anche terribilmente amara e difficile da accettare”.

E ora si apre il fronte dell’acciaio cinese.
Dopo la Brexit, per l’Unione Europea si apre un altro fronte, con la Cina, che si chiama acciaio. A Pechino non l’hanno presa esattamente bene la decisione di Bruxelles venerdì scorso di imporre barriere all’importazione su due tipi di acciaio. Il ministro cinese del Commercio cinese, riporta la Reuters, non ha esitato a definirle unfair, sleali. Secondo Bruxelles l’industria siderurgica cinese è afflitta da un eccesso di capacità e quindi vende il suo acciaio in Europa in perdita, praticamente fa dumping.
I governi del G20 il mese scorso avevano ammesso che c’era un problema, ma non erano andati oltre. Da parte sua la Cina, che è allo stesso tempo il principale consumatore e il principale produttore di acciaio del mondo, con il 50 per cento dell’output del pianeta, sostiene che si tratta di un “problema globale”. E accusa l’Europa di cercare di risolverlo ricorrendo agli strumenti del più bieco protezionismo con metodi che limitano la libera concorrenza sul mercato. Pechino sottolinea che il mercato europeo costituisce meno del 5% delle proprie esportazioni, che non rappresentano certo una minaccia per i produttori de Vecchio Continente, e accusa Bruxelles di ricorrere al protezionismo perché non riesce a far ripartire l’economia europea. Una bella guerra commerciale. Con la Cina era l’ultima cosa di cui aveva bisogno la UE dopo lo strappo della Brexit.
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