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Columbia Threadneedle Investments

Aumento della produttività, tutte le implicazioni per gli investitori

16 Maggio 2016 10:32
financialounge -  Columbia Threadneedle Investments inflazione mercato del lavoro occupazione produttività salari Toby Nangle
Se le autorità monetarie sono determinate a proteggere i sistemi economici dalla minaccia della deflazione, sembra che sarà il potere negoziale dei lavoratori a determinare, in assenza di una ripresa della produttività, se dalla cosiddetta «Recessione ideale» passeremo a uno scenario di «Potere al popolo» oppure a uno di «Illusione monetaria». È questa la convinzione espressa da Toby Nangle, Co-responsabile asset allocation globale e Responsabile multi-asset, EMEA di Columbia Threadneedle Investments.

A questo proposito, il primo dei tre scenari a cui fa riferimento Toby Nangle, quello dell'«Illusione monetaria», è caratterizzato dalla crescita di profitti e salari in assenza di produttività. In questo scenario l'inflazione sarebbe disancorata e, anche se i rendimenti reali a breve potrebbero restare contenuti, le curve dei rendimenti finirebbero probabilmente per diventare molto ripide, l'inflazione di pareggio tenderebbe ad aumentare e i tassi di sconto delle diverse asset class salirebbero anch'essi, con ricadute negative sulle valutazioni delle attività. Per contro, con un'inflazione stabile e un aumento dei salari nominali si produrrebbe un'inversione di quella tendenza alla diminuzione della quota distributiva del lavoro e al raddoppio dei margini di profitto di cui le imprese statunitensi godono fin da quando è caduta la Cortina di Ferro, la Cina è entrata nel sistema dei commerci internazionali e, di fatto, le dimensioni del mercato globale del lavoro sono raddoppiate.

In questo scenario, che Toby Nangle ha chiamato «Potere al popolo», i rendimenti reali rimarrebbero verosimilmente contenuti, i tassi di pareggio resterebbero stabili e continuerebbero a sostenere i mercati dei titoli di Stato, le insolvenze societarie tenderebbero ad aumentare e i titoli azionari sarebbero notevolmente penalizzati. Attualmente, invece, sempre secondo la view di Toby Nangle, siamo nel contesto di «Recessione ideale». In questo scenario la deflazione è una minaccia incombente, pronta a manifestarsi ai primi segnali di recessione, e le banche centrali mantengono un orientamento vigile e accomodante. Tuttavia, i tassi d'interesse reali e i differenziali di pareggio rimangono bassi, offrendo sostegno ai mercati dei titoli di Stato. Il ritmo lento e regolare della crescita economica crea un ambiente ideale per il credito e, dati i bassi tassi di sconto associati a una politica di tassi zero o persino negativi, i prezzi delle attività rimangono elevati (anche se leggermente volatili). La «Recessione ideale» non è favorevole a una crescita economica dinamica, ma contribuisce senz'altro a preservare il valore della attività. È anche lo scenario dal quale le banche centrali sembrano impegnate ad allontanare le rispettive economie.

Per cercare di comprendere le possibili evoluzioni dell’attuale contesto, Toby Nangle è partito dall’analizzare il mercato globale del lavoro che, dal 1988, è raddoppiato in termini dimensionali senza un aumento equivalente dello stock di capitale, indebolendo sensibilmente il potere negoziale dei lavoratori nei mercati sviluppati, soprattutto tra le famiglie a basso reddito. Questa perdita di potere negoziale si è accompagnata a un aumento della disuguaglianza dei redditi nelle economie avanzate a causa del processo di delocalizzazione produttiva attuato nell'arco di numerosi decenni con l'obiettivo di sfruttare le differenze internazionali tra i costi unitari del lavoro nella misura consentita dai sistemi di governance.

È difficile stabilire se questo processo sia terminato; tuttavia, dato che secondo le stime dell'FMI la Cina nei prossimi anni dovrebbe raggiungere il proprio punto di Lewis (nel quale l'abbondanza di lavoro lascia il posto a una carenza di lavoro), che i salari nel settore manifatturiero cinese sono aumentati di nove volte dal 2000 e che i casi di rilocalizzazione non mancano, è opportuno porsi quanto meno la domanda. Se a questo si aggiunge che la generazione del baby boom nei mercati sviluppati è prossima all'età pensionabile e che la Cina inizia a risentire degli effetti della politica del figlio unico, sembrano sussistere tutti i presupposti per un ripristino del potere negoziale strutturale dei lavoratori e dunque per una pressione al rialzo sui salari.

Non è da escludersi tuttavia che tali pressioni salariali siano ciò che serve per ovviare al ristagno della produttività sebbene molti autori abbiano esaminato la possibilità che l'automazione lasci disoccupata un'ampia fetta delle forze di lavoro, in quanto le macchine sembrano superare gli umani in una crescente varietà di mansioni. Ma più di un dubbio che questo possa avere impatti sui salari permane. Le tecnologie esistenti vengono applicate solo nei casi in cui è più conveniente farlo che non farlo. Le imprese orientante alla massimizzazione del profitto non hanno motivo di sostituire il lavoro umano a basso costo con macchinari più onerosi. Ma con la transizione dalla «Recessione ideale» allo scenario di «Potere al popolo» innescata dal concorso di una serie di fattori ciclici e strutturali, le tecnologie di automazione sono destinate a diventare sempre più redditizie. Questo sarebbe in definitiva uno sviluppo positivo, in quanto favorirebbe una crescita maggiore della produttività.

“E, con un aumento più sostenuto della produttività, potremmo da ultimo aspettarci tassi d'interesse reali neutrali più elevati. Pertanto, è possibile che la crescita estremamente bassa della produttività e gli interventi concertati messi in atto dalle banche centrali per sfuggire alla minaccia della deflazione conducano a una nuova difficile fase per i mercati finanziari. Ma questa nuova fase potrebbe aprire le porte alla crescita della produttività” conclude Toby Nangle.
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