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Carlo Benetti

Azioni Cina, meglio le H-share quotate a Hong Kong

16 Luglio 2015 13:00
financialounge -  Carlo Benetti cina GAM h share Hong Kong mercati azionari
La prima importante correzione dei listini azionari cinesi preoccupa anche gli investitori internazionali. Ma per Carlo Benetti, Head of Market Research & Business Innovation di GAM Italia Sgr, come ha modo di spiegare nel commento analitico L’Alpha e il Beta del 13 luglio, i rischi di contagio all’economia reale cinesi sono minimi anche perché la borsa non assume la rilevanza che Wall Street esercita. Inoltre non c’è evidenza dell’effetto ricchezza (il cosiddetto wealth effect), sulla propensione al consumo: dunque, puntualizza, lo strategist, risulta improbabile che si verifichi ora l’effetto opposto.

Lo strategist, in tutti i casi, consiglia le azioni cinesi di Hong Kong (H-share) che presentano valutazioni decisamente interessanti rispetto alle azioni di classe A, quotate a Shangai e Shenzhen.

Ma percorriamo insieme a Carlo Benetti i passaggi che lo portano alle sue convinzioni. Dal 2014 i listini hanno corso un rally che ha messo a segno l’impressionante salita di circa 150%, a dispetto di una debole crescita economica. La corsa si è interrotta bruscamente a giugno con una serie di giornate negative che hanno portato alla correzione di circa il -30%. Cosa sta succedendo, si sono chiesti tutti. L’immediata preoccupazione è stata sui pericoli di un contagio dall’economia di carta a quella del bullone come già accaduto a Wall Street. Paura di un contagio proprio nei giorni in cui un altro possibile contagio, quello della crisi greca, teneva sulle spine tutti i mercati.

Da qualche anno l’economia cinese soffre di un eccesso di credito, costante motivo di preoccupazione delle autorità di governo che hanno dunque promosso misure per facilitare l’accesso alla borsa. Il risparmio di milioni di piccoli risparmiatori canalizzato in borsa avrebbe alleggerito gli oneri finanziari delle aziende e i rischi del temibile “shadow banking”. Per molti commentatori le autorità avevano assecondato il boom azionario assimilandolo al “sogno cinese”, anticipazione di un “meglio ancora da venire”, come lasciava intendere un editoriale di People’s Daily di maggio. Comprensibile che il crollo dei valori di borsa abbia dato origine alla preoccupazione tutta politica della perdita di prestigio del governo presso gli investitori. Peraltro, le frettolose misure amministrative introdotte per sostenere il mercato e arginare la correzione si sono rivelate controproducenti.

Nella ricostruzione del Financial Times, prima dell’introduzione delle misure straordinarie nel fine settimana del 4 luglio, non c’erano ancora “evidenti problemi di liquidità, gli ordini di acquisto e vendita procedevano normalmente”. Il mercato si è bloccato solo in seguito alla sospensione dalla negoziazione di oltre mille società, del divieto di vendite allo scoperto, dell’obbligo imposto alle società di sostenere i propri titoli. Movimenti così imponenti, sia nella crescita che nella correzione, sono in larga misura dovuti al comportamento di milioni di risparmiatori che affollano la borsa, circa 200 milioni di piccoli operatori privi di esperienza molti dei quali si sono avvicinati alla borsa con la mentalità del breve termine e del gioco. L’80% opera almeno una volta al mese (contro il 53% negli Stati Uniti) e circa il 90% degli scambi giornalieri è riconducibile ai privati. Alla borsa cinese difetta l’esperienza che le borse occidentali si sono fatte in qualche secolo di attività e abitudine all’euforia che lascia il posto al panico, all’eccitazione che si trasforma in dolore.

In ogni caso la borsa di Shangai si mantiene in area positiva da inizio anno e generosamente positiva nei dodici mesi. “Per quanto riguarda i rischi di contagio all’economia reale, probabilmente la preoccupazione è eccessiva, la borsa non ha la rilevanza che ha Wall Street negli Stati Uniti: il mercato azionario cinese vale circa un terzo del PIL mentre negli Stati Uniti è superiore al 130% (l’indicatore caro a Warren Buffet). Nonostante i circa 200 milioni piccoli investitori, meno del 15% del risparmio privato è investito in azioni. Inoltre non c’è stato alcun wealth effect”, effetto ricchezza, sulla propensione al consumo, è dunque improbabile che si verifichi l’effetto opposto” sostiene Carlo Benetti per il quale un possibile rischio sono semmai le conseguenze della correzione sul “sentiment” del mercato, alle prese con una economia in trasformazione strutturale che rallenta la crescita dopo un primo trimestre debole.

Un altro rischio evidenziato da alcuni commentatori è l’esposizione azionaria che molte società, anche quelle a capitale pubblico, hanno via via accumulato e finanziato con capitali presi a prestito: un rischio contagio in questo caso verosimile: tuttavia non ci sono segnali di un rischio finanziario sistemico. “Le azioni cinesi disponibili alla negoziazione degli investitori internazionali sono quelle di Hong Kong che presentano valutazioni decisamente interessanti rispetto alle azioni di classe A, quotate a Shangai e Shenzhen, più sensibili all’erraticità dei comportamenti di duecento milioni di risparmiatori privati” conclude lo strategist.
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