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Grecia, perché un compromesso è difficile da trovare

17 Giugno 2015 14:10
financialounge -  germania grecia Grexit J.P. Morgan Asset Management Maria Paola Toschi
Da qualche giorno comincia a prendere corpo un’ipotesi secondo la quale la Germania starebbe «valutando di rischiare» il default di Atene o, addirittura, la Grexit con un calcolo preciso. Ecco il ragionamento. La Germania vanta i seguenti numeri macro economici: crescita stimata del PIL 2015 dalla Bundesbank del +1,7%, e del 1,8% nel 2016, inflazione allo 0,66%, disoccupazione al 6,4%, avanzo primario di bilancio, rapporto deficit / PIL al 69,5%.
Se ci fosse un accordo tra la UE (e gli altri creditori) e la Grecia è probabile che in autunno o, al più tardi, in inverno Berlino sia costretta a chiedere alla BCE di eliminare o quantomeno ridurre il QE in quanto la sua economia (già forte nel 2014) sarebbe a rischio surriscaldamento (aumento del PIL, richieste di aumento dei salari, incremento dell’inflazione): una richiesta legittima da parte della Germania che però sarebbe isolata e difficile da far approvare agli altri partner europei (e ai cittadini della zona euro) che dopo anni stanno faticosamente uscendo dal tunnel della crisi.


Ecco allora che la Germania preferirebbe assumere un atteggiamento inflessibile sulla Grecia in modo tale che: o si rispettano i paletti di Berlino (o livelli molto vicini ad essi che sono comunque molto difficili da far digerire al governo greco) oppure si lascia che Atene faccia default o, addirittura, propenda per una Grexit. Cosa succederà a quel punto è«un territorio inesplorato» come ha ribadito ieri Mario Draghi ma, comunque vada, per la Germania dovrebbe essere meno peggio dello scenario di un accordo con Atene.


Infatti, Berlino può permettersi di continuare a crescere anche dello 0,5% / 1,0% all’anno grazie ai suoi invidiabili numeri macro economici; una nuova profonda crisi dell’euro sarebbe meno incisiva sui tedeschi che nel resto della zona euro, una nuova crisi del debito sovrano vedrebbe un ritorno di interesse verso i bund quali «rifugio sicuro» etc.


“Dal punto di vista strettamente economico la eventualità di Grexit è oggi più gestibile rispetto al 2012. Infatti dopo le operazioni di ristrutturazione del debito fatte negli ultimi anni e le misure di salvataggio, il debito della Grecia è oggi per circa l’80% in carico a istituzioni come la BCE, il FMI, gli stati (tra cui Germania, Francia e Italia). La fetta più consistente pari a circa il 60% pari a 193,8 Miliardi di Euro sarebbe in carico ai Governi europei che lo hanno finanziato con le varie operazioni di sostegno concordate con le istituzioni europee. Si stima per esempio che la Germania abbia circa 60 Miliardi del debito greco, e a seguire la Francia circa 45 Miliardi e l’Italia 40 miliardi. La Spagna ha una quota inferiore pari a circa 28 Miliardi di Euro. Un default della Grecia potrebbe quindi avere delle ripercussioni relativamente contenute su questi paesi anche se avrebbe un effetto sfavorevole sul debito e sulle misure di rientro del debito su cui i paesi hanno lavorato in questi anni” fa sapere Maria Paola Toschi, Market Strategist J.P. Morgan Asset Management.


Tuttavia, fa notare la strategist, le implicazioni peggiori di uno scenario di Grexit non sono strettamente economiche, ma sono soprattutto a livello di rischio di instabilità di sistema. Come ha più volte evidenziato il Governatore Draghi, Grexit muoverebbe la Unione Monetarie su acque inesplorate.


“Penso che questo si riferisca soprattutto alle imprevedibilità delle implicazioni dal punto di vista della instabilità economica e politica. La moneta unica non sarebbe più percepita come una valuta solida e credibile, la stessa zona Euro e, soprattutto, l’Unione monetaria potrebbero diventare un’area dai confini poco chiari e credibili. I movimenti euroscettici di altri paesi potrebbero sfruttare la situazione per alimentare il loro consenso creando situazioni di instabilità politica all’interno dei singoli stati” specifica Maria Paola Toschi, secondo la quale ad attenuare queste implicazioni potrebbe tuttavia contribuire proprio il caso Grexit.


Infatti, puntualizza la strategist, l’uscita della Grecia dall’Unione avrebbe effetti talmente devastanti per l’economia di quel paese che forse altri partiti e governi avrebbero la chiara evidenza di cosa significa per un paese lasciare il progetto comunitario. Le implicazioni per la Grecia potrebbero essere: crollo dei mercati finanziari e quindi dei risparmi dei greci (quelli che sono ancora rimasti nel paese), fuga dei depositi bancari (già in corso),fallimenti delle banche greche che hanno titoli del debito in portafoglio e che non potrebbero più godere dell’aiuto della BCE, crollo della nuova Dracma, costi energeticialle stelle, inflazione alle stelle, disoccupazione in ulteriore aumento, instabilità sociale, nuova crisi politica. La Grecia diventerebbe una zona di forte instabilità vicino all’Europa con possibili ripercussioni geopolitiche. La vicinanza con Turchia e soprattutto Russia potrebbe portare alla ricerca da parte del Governo greco di nuove alleanze, poco gradite agli ex partner europei.


“Per questo è così importante trovare un compromesso ma la rigidità del Governo greco in primo luogo, e anche dei creditori europei in questo momento sta mettendo seriamente a rischio la soluzione delle negoziazioni. L’atteggiamento del Governo greco non facilita le negoziazioni e forse riflette le difficoltà che l’attuale leadership sta riscontrando all’interno del proprio parlamento e la difficoltà a rispettare le promesse della campagna elettorale in molti casi inaccettabili per i creditori europei. Molti invocano al solidarietà e questo è sicuramente un approccio importante. L’Europa deve ritrovare un proprio slancio morale oltre che economico. Ma la solidarietà non può significare che un paese deve continuare a mantenere garanzie e privilegi facendoli gravare su altri partner europei. La Grecia deve ritrovare un proprio equilibrio sociale e fiscale auto-sostenibile. Riforme strutturali che tocchino il sistema pensionistico e il mercato del lavoro e una riforma del sistema dell’IVA potrebbero essere accompagnate da un taglio di parte del debito, da un allungamento delle scadenze. Questa potrebbe essere la strada per la ricerca di un accordo e di una nuova sostenibilità fiscale di lungo termine, con un ultimo costo una tantum per i creditori europei” conclude Maria Paola Toschi.
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