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Il filo rosso che unisce Lehman Brothers alla bad bank italiana

13 Aprile 2015 10:30
financialounge -  italia Lehman Brothers settore bancario
Esiste un invisibile filo rosso che unisce l’evoluzione del fallimento della banca d’affari USA Lehman Brothers e la discussione sulla creazione di una bad bank per le sofferenze degli istituti di credito italiani. Percorriamolo insieme.
Il fallimento della Lehman Brothers nel settembre 2008 è ritenuto l’effetto scatenante della più grande crisi finanziaria del dopoguerra. Un crac che ha avuto pesanti ripercussioni anche nei portafogli dei risparmiatori italiani che, direttamente o indirettamente (tramite, per esempio, polizze assicurative di tipo index linked piuttosto che gestioni patrimoniali) hanno subito perdite consistenti. Basti pensare che un bond Lehman Brothers, che fino al giorno precedente la procedura di fallimento veniva valutato dalle principali agenzie di rating internazionali con il massimo merito di credito (tripla A), poche settimane dopo era crollato a 25-28 euro rispetto ai 100 di nominale.

Ebbene, a distanza di sei anni e mezzo, i possessori delle obbligazioni Lehman Brothers vendute in Europa hanno riavuto (grazie alla settima tranche dei rimborsi in liquidazione in questi giorni) il 53 per cento del valore nominale: secondo le ultime stime, se il flusso di rimborso derivante dalle dismissioni ancora congelate dovesse proseguire come previsto, si potrebbe arrivare a quota 60 per cento. Ma già al 53%, significa aver registrato tra l’86% (se il prezzo minimo post crac è stato di 25 euro) e il 109% (qualora il prezzo minimo si è attestato a 28 euro) in più rispetto ai valori di mercato successivi al fallimento. Proprio questa evoluzione, che si sta rivelando peraltro molto più proficua del previsto, dimostra che una liquidazione ordinata e graduale nel tempo consente a gestori specializzati di recuperare una buona percentuale degli attivi incagliati.

Ecco quindi che l’istituzione in Italia di una bad bank, cioè di un veicolo nel quale riversare l’ammontare delle sofferenze bancarie italiane, consentirebbe, da un lato, di liberare risorse attualmente congelate nei bilanci delle banche italiane (l’ultimo dato fornito dall’ABI indica in 185 i miliardi di euro delle sofferenze bancarie) agevolando la concessione di nuovi finanziamenti a imprese e famiglie, e, dall’altro, permetterebbe ad una gestione professionale (quella chiamata a guidare la bad bank) di lavorare nel medio lungo termine per recuperare i crediti: basti pensare che, chi avesse acquistato sul mercato i bond Lehman subito dopo il fallimento, oggi avrebbe realizzato un rendimento annuo composto tra il 10,5% e il 12,5%.
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