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Materie prime, l’impatto della Cina nei prossimi 5 anni

9 Aprile 2015 10:10
financialounge -  cina GAM JB Local Emerging Bond Fund materie prime Paul McNamara settore energetico
La trasformazione in atto del modello di crescita in Cina, meno orientato all’esportazione e alla produzione a basso valore aggiunto e più incline ai consumi interni e ai prodotti di fascia medio alta, comporterà enormi cambiamenti nella domanda di materie prime nei prossimi cinque anni. Secondo le stime di consenso degli analisti, la risultante complessiva dovrebbe portare ad un rallentamento della domanda per quasi tutte le commodity, ma non è nemmeno escluso che ci possano essere situazioni di shock e sorprese nei mercati internazionali.

Per esempio, l’impatto della Cina sui mercati mondiali dell'energia sarà modificato in funzione della crescita della produzione di petrolio mentre il consumo di carbone rallenta in modo sostenuto. In questo contesto, gli investimenti in energie rinnovabili rischiano di subire impatti significativi (con probabili ingenti riduzioni degli investimenti nelle fonti alternative): la Cina rischia di diventare di conseguenza molto più determinante nei mercati mondiali del gas.

Al contrario, l’influenza della domanda cinese sui mercati globali dei metalli industriali determinerà tassi di crescita molto inferiori al passato con una quota di mercato di Pechino in contrazione. Infatti, secondo gli analisti, a meno che altri paesi in via di sviluppo registrino sensibili crescite economiche, nei prossimi cinque anni il ritmo delle quotazioni dei metalli industriali risulterà molto più lento rispetto agli ultimi anni.

Al contrario, la quota della Cina del mercato dell'oro mondiale è destinata ad aumentare sensibilmente in quanto è uno dei pochi paesi in cui la domanda è destinata ad ampliarsi nei prossimi cinque anni: si stima infatti che entro il 2020 Pechino possa consumare quasi la metà della produzione aurifera mondiale.

Infine, se la domanda di caffè è impostata al rialzo nel corso dei prossimi cinque anni, si prevede un rallentamento nei settori della carne, del mais e della soia come conseguenza della crescente adozione di diete.

Anche per questo, per Paul McNamara, gestore del JB Local Emerging Bond Fund di Swiss & Global Asset Management si fanno più cupe le prospettive per gli esportatori di materie prime come Colombia, Perù, Sudafrica o Brasile, perché molte di queste economie nazionali non si sono ancora completamente adeguate allo scenario globale caratterizzato dai bassi prezzi delle materie prime.
"Le conseguenze potrebbero essere tassi di crescita in ribasso o deficit in aumento delle bilance delle partite correnti, con effetti negativi sulle monete nazionali" sostiene McNamara. Se la domanda interna dovesse ridursi con una conseguente diminuzione delle importazioni, anche l’inflazione potrebbe avere una forte flessione. Durante l’anno potrebbe quindi arrivare il momento in cui anche le valute di questi paesi ricevono valutazioni interessanti. "Gli investitori devono, tuttavia, rimanere attenti, perché i tassi d’inflazione troppo bassi potrebbero indurre le banche centrali ad affrontare la minaccia della deflazione con un’ulteriore svalutazione delle monete", conclude McNamara.
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