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International Editor's Picks - 21 luglio 2014

21 Luglio 2014 09:55
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I Fantastici 5 e non più i “Fragili 5”, almeno così la pensa il New York Times che dedica un’analisi molto positiva a Turchia, India, Indonesia, Brasile e Sud Africa, fino a pochi mesi fa considerati i paesi da cui stare alla larga e oggi diventati quelli più corteggiati dagli investitori globali a caccia di rendimenti in un mercato che offre ritorni percentuali a una cifra spesso preceduta da uno zero. Il giornale americano cita un report di Merrill Lynch secondo cui il principale fattore dietro la crescita a due cifre (la borsa del Sud Africa, fanalino di coda dei 5, ha fatto un 10% da inizio anno) dei Fantastici sono proprio i tassi di interesse bassissimi delle principali economie globali. Un altro fattore sono state le elezioni in India e Indonesia, che hanno portato al potere nuovi leader dinamici con un programma di riforme business-friendly.

Da quando la Cina è entrata nella World Trade Organization nel 2001 l’America ha perso quasi 3 milioni di posti di lavoro. Ma i businessman a stelle e strisce non si arrendono. Yahoo Finance racconta la storia di un mobiliere della Virginia di terza generazione, John Bassett III, che potrebbe interessare i suoi colleghi del Veneto. Basset ha detto “non ci sto”. Si è spinto nella Cina del Nord a cercare la fabbrica che gli copiava i mobili. I cinesi gli hanno offerto di chiudere e trasformarsi in distributore. Lui invece ha fatto ricorso alla U.S. International Trade Commission contro il dumping cinese e ha vinto, salvando 700 posti e l’intera economia di una cittadina del profondo sud. Ma non si è fermato qui, ha ristrutturato la fabbrica, abbattuto i costi, motivato i dipendenti e innovato. Un esempio, le consegne ultra-veloci, un terreno su cui i cinesi non possono competere. Almeno fino a quando c’è l’oceano di mezzo.

Uber, la startup della sharing economy valutata $18 miliardi, non minaccia solo il lavoro dei tassisti di tutto il mondo, ma addirittura la stessa industria automobilistica. Almeno così la pensa il corrispondente del New York Times Neil Irwin dopo aver intervistato il CEO di Uber Travis Kalanic che gli ha detto di immaginare un mondo “dove la gente vede il nostro servizio come un’alternativa all’acquisto dell’auto”. Tutto dipende dalla capacità di Uber di abbassare le tariffe, anche se c’è un limite fisico al numero di trasporti per ora che un’auto può fare in una città moderna. Il traffico è in ultima analisi il limite alla crescita di Uber. Per questo la startup si sta espandendo dalle grandi metropoli ai piccoli centri, dove il traffico è meno convulso ma la gente deve comunque muoversi. Kalanick racconta che sulla sua piattaforma web sta cominciando a offrire posti in paesini che si fa fatica a trovare sulle mappe stradali.
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