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Perché la BCE potrebbe adottare politiche non convenzionali

8 Maggio 2014 15:25
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Gli interventi verbali da parte della BCE potrebbero non essere più sufficienti a mantenere a galla i paesi "periferici" della zona euro, ancora stretti nella morsa del debito qualora alcuni fattori stravolgessero lo scenario centrale della banca centrale europea. È questa la convinzione di Christophe Bernard, Chief Strategist di Vontobel, che non esclude in un prossimo futuro l’adozione da parte dell’autorità monetaria della zona euro, a determinate condizioni, di misure non convenzionali. Seguiamo insieme il ragionamento articolato dello strategist.

Il 26 luglio 2012 è ormai storia: in un'investment conference a Londra, il Presidente della BCE Mario Draghi, diffuse la convinzione che l'eurozona era di nuovo un luogo sicuro per investire. Sono rimaste delle incertezze, soprattutto sulle basi legali del programma Outright Monetary Transactions (OMT) della Banca centrale Europea (BCE) e sussistono anche delle incognite sull'Unione Bancaria Europea e, in ultima istanza, sul finanziamento in caso di procedure di fallimento e garanzie di deposito.

Tuttavia è indiscusso che la BCE ha avuto finora successo: i rendimenti dei titoli di Stato dell'Europa meridionale si sono notevolmente ridotti sulla scia dell'appetito degli investitori per il debito periferico. L'inversione delle sorti della zona euro si manifesta chiaramente nel recente e spettacolare lancio di un titolo di Stato greco a cinque anni, per un valore di quattro miliardi di euro e una cedola inferiore al cinque percento, per il quale le richieste di sottoscrizione hanno superato abbondantemente il volume dell'emissione.

Tuttavia, mentre la zona euro si è allontanata dal baratro, la crescita economica procede a rilento (per il 2014 Vontobel prevede una crescita dell'1,2 percento), la disoccupazione rimane alta all'11,9 percento e i dati sull'inflazione si mantengono ostinatamente al di sotto del target a lungo termine della BCE (2 per cento). Un'inflazione troppo bassa, abbinata a una crescita reale anemica, potrebbe compromettere gravemente le prospettive di stabilizzazione del debito sovrano, per non parlare della riduzione dell'indebitamento.

La storia mostra che è estremamente difficile combattere la disinflazione, e tanto meno la deflazione. Ne è un esempio l'esperienza del Giappone. Secondo le previsioni a lungo termine diramate dalla BCE in marzo, l'inflazione dovrebbe raggiungere l'1,8 percento nel quarto trimestre del 2016 mentre il modello proprietario di Vontobel indica un rialzo dell'inflazione inerziale dall'attuale 0,7 percento a circa l'1,5 percento intorno all'anno prossimo.

“Contrariamente alle attuali speculazioni, non prevediamo che la BCE ricorra a una politica monetaria non convenzionale in qualsiasi forma, fintanto che l'economia si sviluppa secondo i suoi piani. Tuttavia, considerata la moltitudine di fattori che potrebbero stravolgere lo scenario centrale della BCE, l'autorità monetaria deve essere pronta a prevedere misure poco ortodosse se dovesse emergerne il bisogno. Per essere efficace, una tale manovra di "quantitative easing" dovrebbe includere l'acquisto di debito privato, come prestiti bancari o asset-backed security, e di debito governativo, perché, a differenza della situazione negli Stati Uniti, le banche europee svolgono un ruolo importante nel finanziamento dell'economia regionale” sottolinea Christophe Bernard che, sullo sfondo, intravede prospettive favorevoli per le attività rischiose.

“Malgrado il perdurare delle tensioni tra Ucraina e Russia, i mercati mondiali continuano a essere trainati dalle politiche monetarie accomodanti delle principali banche centrali, dai bassi tassi d'interesse e da utili societari ragionevolmente elevati. In un tale contesto restiamo cautamente ottimisti e manteniamo un lieve "sovrappeso" nelle attività rischiose. Abbiamo aumentato la nostra esposizione nel debito dei mercati emergenti denominato in valute locali, perché dubitiamo che questo segmento continui a sottoperformare notevolmente come negli ultimi 12 mesi.

Osserviamo un miglioramento dei deficit delle partite correnti nelle principali economie emergenti in un periodo in cui il rendimento corrente di questo segmento è vicino al 7 percento, offrendo così un cuscinetto ragionevole per compensare un eventuale deprezzamento dei mercati emergenti. Il dato decisivo è che tale rendimento supera ogni confronto con gran parte dei segmenti a reddito fisso di qualità creditizia analoga” spiega infatti Christophe Bernard.
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