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Petrolio, la sfida dello shale oil

3 Giugno 2013 10:00
financialounge -  norvegia petrolio Regno Unito Russia settore energetico USA
Il vertice di venerdi scorso a Vienna dell’Opec, l’organizzazione internazionale dei più importanti produttori di petrolio al mondo, ha chiarito solo in parte a che punto siano le preoccupazioni sul nuovo temibile nemico comune: lo shale oil americano (il petrolio ricavato dalla frantumazione delle rocce).

I ministri Opec dovevano decidere se mantenere l’attuale produzione del greggio (pari a 30 milioni di barili al giorno) oppure limarla, in modo da sostenere il prezzo che sta risentendo dell’immissione sul mercato di nuovi ingenti quantitativi di shale oil da parte dei produttori nordamericani. Alla fine ha prevalso la linea del congelamento delle quote attuali, nonostante le pressioni di Iran e Venezuela che propendevano per un taglio produttivo.

Intanto Morgan Stanley Research ha diramato lo scorso 30 maggio un report sul settore petrolifero nel quale è possibile confrontare i costi di produzione del petrolio al barile in funzione delle diverse fonti: si va dai 10-15 dollari per quello estratto in Arabia Saudita e Iraq, ai 18-20 dollari per quello proveniente dall’Iran e dalla Russia, dai 35-40 dollari di quello “convenzionale” USA ai 55-60 dollari di quello norvegese e del Regno Unito, dai 70-80 dollari per lo shale oil canadese e americano fino alla stima dei 90 dollari per i progetti più rischiosi nell’offshore in Africa occidentale.
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