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Elezione di Trump, forse è troppo presto per smettere di preoccuparsi

Ci sono almeno cinque buone ragioni per evitare si smettere di preoccuparsi per le implicazioni sull’economia e sui mercati per la vittoria di Donald Trump.

17 Novembre 2016 09:48
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Dopo un breve shock iniziale post-elettorale, molti operatori del mercato finanziario sembrano aver adottato un atteggiamento sostanzialmente ben predisposto nei confronti dell'elezione di Donald Trump. Infatti i titoli azionari dei paesi sviluppati, i rendimenti dei titoli americani e il dollaro USA hanno registrato rialzi sulle speranze di un maggiore stimolo fiscale e di una minore regolamentazione (soprattutto, ma non solo, in ambito finanziario).

Unica eccezione sono state le asset class dei mercati emergenti che, al contrario, hanno accusato perdite sui timori di un maggiore protezionismo da parte degli Stati Uniti e per le ripercussioni negative derivanti da un dollaro più forte sull’elevato debito dei paesi emergenti in dollari USA. Joachim Fels, consigliere economico mondiale di PIMCO, preferisce tuttavia un atteggiamento diffidente: ritiene infatti che sia forse troppo presto per smettere di preoccuparsi per almeno cinque buone ragioni.

In primo luogo, occorre stare attenti ai cosiddetti rischi di coda. Se la nuova amministrazione Trump si concentra sulla riforma delle tasse, aumentando la spesa per le infrastrutture e facilitando la normativa sui mercati finanziari, la domanda e la crescita della ricchezza potenziale potrebbero beneficarne senza creare eccessiva inflazione. Al contrario, una forte attenzione sui dazi commerciali e sui divieti in materia di immigrazione può ingenerare ritorsioni da parte di altre nazioni e, almeno a livello potenziale, provocare una guerra commerciale capace di alimentare un effetto di de-globalizzazione. Secondo Joachim Fels è troppo presto per dire quale di questi due scenari prevarrà: nel frattempo, i mercati oscilleranno tra speranza e paura.

In secondo luogo, se è vero che una recessione degli Stati Uniti nel corso del 2017 e del 2018 sembra ora meno probabile, il rischio è che l'espansione finisca in modo brusco facendo aumentare le probabilità di una recessione nel 2019 o 2020. Questo perché un maggiore stimolo fiscale tenderà a far lievitare la domanda in un momento in cui il mercato del lavoro è vicino alla piena occupazione mentre i primi segnali di pressione salariale hanno già iniziato ad emergere.

In terzo luogo, è probabile che l'indipendenza della Federal Reserve sia messa quantomeno in discussione viste le persistenti critiche sollevate sulla banca centrale americana nei circoli conservatori repubblicani e gli attacchi di Trump all’operato della Yellen. Come minimo, secondo Joachim Fels, l’amministrazione Trump dovrebbe nominare due candidati ‘falchi’ per i due seggi vacanti nel Board della Federal Reserve: potrebbe inoltre influenzare in modo significativo anche la nomina del nuovo presidente della Fed quando, nel febbraio 2018, terminerà il mandato di Janet Yellen.

In quarto luogo, a fronte del forte sell-off (vendita dei titoli senza limitazione di quantità e di prezzo) sui mercati obbligazionari, la nuova strategia della Bank of Japan (BoJ) di ‘controllo della curva dei rendimenti’ appare sempre di più come il modello per altre banche centrali e, in prospettiva, anche per la Federal Reserve.

“Si consideri uno scenario nel quale un forte stimolo fiscale (o l'attesa per tale stimolo) spinga verso l'alto i rendimenti dei titoli obbligazionari in modo tanto netto da mettere in sofferenza l'economia e le attività più rischiose. Per evitare questo circolo vizioso, la banca centrale può decidere di limitare l'aumento dei rendimenti intervenendo nel mercato obbligazionario direttamente e il modo più semplice per farlo è quello di annunciare un limite ai rendimenti e stare pronti ad acquistare quantità illimitate sul mercato per preservare tale limite” spiega Joachim Fels.

Infine, e siamo alla quinta ragione, l'eccessiva forza del dollaro è un male per tutti e deve essere evitato. Nei giorni scorsi il dollaro si è rafforzato non solo nei confronti delle valute dei mercati emergenti, ma anche contro l'euro e lo yen. Mentre la BCE e la BoJ vedono probabilmente di buon occhio un indebolimento delle loro valute data la persistente bassa inflazione, una eccessiva forza del biglietto verde potrebbe danneggiare i debitori in dollari dei paesi emergenti, i prezzi delle materie prime e il settore energia degli Stati Uniti. Inoltre potrebbe indurre la Cina a svalutare il renminbi in modo più aggressivo nei confronti del dollaro al fine di evitare un notevole apprezzamento nei confronti delle altre valute.

** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge. Una parte di contenuti e dati gentilmente concessi da Pimco

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