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correzione di borsa

Il vero test è la forza della ripresa

Finché dall’economia reale, soprattutto americana, continuano ad arrivare segni di solidità, le turbolenze di mercato non devono fare troppa paura. Sperando che la Fed di Powell non si faccia forzare la mano.

12 Febbraio 2018 09:19
financialounge -  correzione di borsa Federal Reserve Jerome Powell Wall Street Weekly Bulletin

La parola più inflazionata della settimana è stata sicuramente ‘correzione’. Ha cominciato a circolare dopo il tonfo di venerdì 2 febbraio a Wall Street e da allora non ce ne siamo più liberati. Ma il punto interrogativo con cui ci siamo lasciati sette giorni fa – pausa o correzione? – resta ancora valido, almeno tecnicamente parlando. Correzione infatti vuol dire scostamento al ribasso di almeno il 10% rispetto ai massimi recenti. Lo S&P 500 ha fatto una puntata di qualche ora in questo territorio, tra il durante di giovedì e la prima parte della seduta di venerdì, ma ha chiuso la settimana con un calo di appena sotto il 9% rispetto al picco toccato il 26 gennaio. Un po’ diversa la situazione in Europa con il DAX che ha finito in perdita di quasi l’11% sempre rispetto ai massimi di gennaio. Incredibilmente il mercato italiano, sia delle azioni che dei titoli di Stato, ha retto meglio di tutti. Forse perché le securities italiane sono meno presenti nei derivati di ogni genere e tipo che hanno fatto da protagonisti in questi giorni turbolenti. Ma forse anche perché l’Italia è percepita sempre meno come rischio a tre settimane dalle elezioni. Chiunque vinca o qualunque sia l’alleanza che andrà al governo erediterà un’economia in salute, banche ormai sostanzialmente risanate e un debito pubblico sostenibile proprio grazie alla crescita.

Per non complicarci troppo la vita, diamo per buono che siamo in correzione. Dal 1900 che ne sono state in media almeno una l’anno, anche se non puntualmente tutti gli anni. Dal 1980 solo sul mercato americano ce ne sono state 36 con lo S&P 500 che è arretrato, sempre in media, del 15,6% dal picco. Un anno dopo, ancora una volta sono medie, aveva però rimbalzato del 16% dai minimi arrivando a un recupero del 28% a distanza di due anni, secondo i dati storici di LPL Financial. La correzione può annunciare e precedere un ingresso nel territorio dell’Orso. È successo 10 volte in occasione delle ultime 15 correzioni. Le ultime due le abbiamo viste partire a fine agosto 2015 e a gennaio 2016, e in nessuno dei due casi poi è arrivato l’Orso, anzi, il Toro ha ripreso a correre più di prima dopo un paio di mesi.

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Le correzioni fanno bene al mercato? Secondo il capo della Fed di Dallas Caplan sì, come ha segnalato ai suoi lettori FinanciaLounge nella sua Morning News dell’8 febbraio: “Sono eventi di mercato, cose che possono essere salutari”. Ma possono anche far soffrire, soprattutto l’investitore ansioso di vedere il ritorno dopo essere entrato per approfittare dello storno dei prezzi. La storia potrebbe durare anche diverse settimane. Dipende soprattutto dai dati economici americani e del resto del mondo. Niente può rassicurare meglio i mercati di ulteriori conferme che l’economia globale è su un saldo percorso di crescita.

Quanto dovremo aspettare per lanciare il segnale di scampato pericolo? Un orizzonte temporale possibile può essere il 21 marzo, intorno alle 8 di sera europee, quando il nuovo capo della Fed Jay Powell annuncerà le decisioni in materia di tassi e terrà la sua prima conferenza stampa. Il mercato, come ha fatto anche con successo con Janet Yellen, potrebbe essere tentato di forzargli la mano e spaventarlo con qualche altro violento storno per farlo rinunciare all’atteso rialzo. Sarebbe uno scenario estremamente negativo. Vorrebbe dire che la Fed non è sicura che la ripresa viaggi su gambe forti, minando alla base le ragioni dell’attuale ciclo positivo di Wall Street. I prezzi dei T-bond farebbero un capitombolo insieme a Wall Street e la correzione potrebbe allungare il passo al 20%, che segna la soglia d’ingresso nel territorio dell’Orso. Powell però non sembra il tipo da farsi forzare la mano, finora si è tenuto lontano dai riflettori e dai microfoni dei giornalisti che per la Yellen invece funzionavano da calamita.

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Un’altra cosa da tenere d’occhio oltre ai dati e alla Fed è il comportamento dei singoli titoli. I grandi dell’High Tech, che sono stati protagonisti del rally, sono usciti praticamente indenni dalla turbolenza. Un’anomalia, di solito chi sale di più poi soffre di più quando il mercato corregge. Un’altra anomalia è che non c’è stato un porto sicuro. Una parte di solito interpretata dai T-bond, dal cui calo è invece partito tutto, o dall’oro. Sui giornali c’è stata la caccia al colpevole, a cominciare dagli ETF che consentono di scommettere con leva contro la volatilità. E poi il carry trade, e l’eccesso di ricorso alla leva finanziaria per finanziare l’acquisto di azioni. Tutto vero, ma niente di nuovo. I meccanismi di base sono sempre gli stessi, cambiano gli strumenti, sempre più raffinati e strutturati. Anche nell’ottobre del 1987 gli scambi computerizzati vennero accusati per il crash, ma il meccanismo era lo stesso del 1929, solo attuato con mezzi diversi e più moderni.

Bottom line. Alla fine i mercati azionari e finanziari in generale mettono in scena una rappresentazione di quello che succede nel mondo dell’economia reale. Possono esagerare, drammatizzare, ma non inventare qualcosa che non c’è. È vero, soprattutto in America, possono anche causare un cambio di direzione dell’economia, in quanto ne costituiscono una parte integrante per una larga parte della popolazione, che affida ai mercati la valorizzazione delle proprie risorse. La scommessa dei prossimi mesi è ancora la stessa, vedere se le gambe su cui camminano le economie sono abbastanza salde da reggersi anche senza le stampelle delle banche centrali.

(dalla rubrica “Caffè scorretto” della newsletter settimanale di FinanciaLounge)
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