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carbone

News & Views – 21 agosto 2017

Insight dalla redazione di FinanciaLounge su quello che si muove nelle economie e nei mercati.

21 Agosto 2017 00:01
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Questa volta è diverso
Molti indicatori dicono che l’azionario americano è sopravvalutato. E alcuni investitori anche istituzionali ci stanno puntando, alleggerendo i portafogli e sperando in una brusca correzione, tipo il crash di ottobre 1987 di cui tra poco ricorrono i 30 anni, per rientrare a prezzi da saldo. Ma questa volta può essere diverso, argomenta Dan McCrum in una lunga analisi sul FT. Uno degli elementi fondamentali che manca per poter dichiarare che Wall Street ha toccato il picco sono i tassi di interesse. Le altre volte infatti segnalavano azioni troppo costose relative ai bond, questa volta è il contrario. E non c’è nessuna legge della fisica che dice che tassi e inflazione non possano restare molto bassi ancora per molto tempo. Una delle ricette adottate da alcuni gestori è detenere il meno possibile di azioni americane e il più possibile di azioni dei mercati emergenti. Per cambiare veramente le cose servirebbe uno shock, come una stretta monetaria imprevista e improvvisa o un evento geopolitico traumatico. In cima alla lista dei rischi più temuti (o degli eventi più sperati se ci si è già messi al ribasso) è un errore delle banche centrali di USA e Europa nel loro percorso di ritorno alla normalità. Conclusione: i pessimisti dovranno avere molta, ma molta pazienza.

La vendetta del carbone
Uno dei (pochi) successi dei primi sei mesi di presidenza Trump si chiama carbone. In piena campagna elettorale l’anno scorso di questi tempi Hillary Clinton aveva dichiarato che avrebbe fatto chiudere “un sacco di miniere e di società carbonifere” completando l’opera di Obama, che aveva scelto il fossile come bersaglio preferito della sua politica ambientalista. A un anno di distanza la produzione americana di carbone è aumentata del 14,5% a livello nazionale con alcuni stati, come West Virginia, Pennsylvania e Wyoming che sfiorano il 20%. Il tutto grazie al ‘cessate il fuoco’ ordinato da Trump con una serie di atti presidenziali nella guerra al carbone dichiarata dal suo predecessore. Gli Stati Uniti non hanno mai avuto tante risorse energetiche come oggi, grazie al boom dello shale oil e del gas. Così il carbone rinato dalle ceneri lo esportano: nel primo trimestre le vendite all’estero sono balzate di quasi il 60%. E qui viene il bello. Chi compra il carbone americano? Proprio i paesi più agguerriti nell’accusare Trump di essere un anti-ambientalista. Le esportazioni di carbone americano verso la Francia sono aumentate del 214% nel primo trimestre, quelle verso la Gran Bretagna del 282% e quelle dirette in Germania di quasi il 100%. Perché i paladini dell’energia verde comprano l’inquinante carbone americano? Per tappare i buchi di un eolico costoso ma poco efficiente e di un nucleare in smantellamento, spiega in un editoriale il WSJ che non senza ironia si rivolge alla cancelliera Merkel chiedendole in tono shakespeariano: ma come Angela, proprio tu?

Da Caracas all’Avana
Forse la dichiarazione di Trump secondo cui non si può escludere l’opzione militare per mettere fine alla dittatura di Maduro in Venezuela non è l’ennesima gaffe del presidente ma indica la percezione di un rischio concreto: che 65 anni dopo la rivoluzione di Fidel Castro i russi e i cinesi stiano tentando di stabilire un presidio in America Latina, questa volta nel cuore del sub continente. La chiave di tutto è il debito. Il Venezuela ne ha accumulato per oltre 100 miliardi di dollari, la gran parte in capo alla compagnia petrolifera di stato PDVSA. In Venezuela manca tutto, dai medicinali ai generi alimentari primari, ma i soldi per pagare le cedole e le scadenze si trovano sempre. I cinesi comprano petrolio a lunghissimo termine, e i russi continuano a prestare dollari, come hanno fatto il mese scorso tramite la Rosneft, che ha sborsato 6 miliardi di dollari accettando come collaterale petrolio a lungo termine. E Maduro continua a stare in piedi nonostante le proteste popolari e l’economia al collasso. A differenza di Cuba, il Venezuela è un grande paese, e la sinistra latino-americana è orfana di un leader come Castro che ha ispirato in passato tutti i socialisti del continente, a cominciare dal brasiliano Lula. Maduro non è uno statista, ma indubbiamente ha un fiuto furbo. Settimana scorsa è volato a sorpresa a Cuba per andare a omaggiare la tomba di Castro, e cercare ispirazione.
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