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BCE

Draghi costretto a tenere insieme l’Europa da solo

La politica gli rema decisamente contro e il caos di un’Europa tutti contro tutti comincia a minare la fiducia nell’economia. Ma Super Mario riesce sempre a trovare la quadra, anche se con fatica crescente. Il contrario di Jay Powell che naviga tranquillo verso la normalità monetaria.

15 Giugno 2018 07:50
financialounge -  BCE Federal Reserve Jerome Powell Mario Draghi Morning News https://www.flickr.com/photos/europeancentralbank/42745423872/in/album-72157696279356031/

Il dollaro aveva salutato il rialzo della Fed mercoledì sera con uno strappo di una sessantina di punti base subito rientrato ma il giorno dopo il tonfo dell’euro (che poi è la stessa cosa) è stato violento, 100 punti base in pochi secondi, non appena la BCE ha annunciato che andrà avanti con il QE fino a fine anno, anche se a ritmo ridotto a partire da settembre.

EURO IN MOVIMENTO


È possibile a questo punto la moneta unica nelle prossime sedute vada a ritestare i minimi in area 1,15 toccati a inizio maggio. In pratica il mercato ha prezzato in due tempi un dollaro sempre più sostenuto dai rialzi della Fed e un euro che ritraccia per una BCE che continua ancora per un po’ a tenere le redini lente. Per quanto ancora? La nuova scadenza di fine anno potrebbe essere ancora prolungata.

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POWELL E DRAGHI: LE DIFFERENZE


Comunque i tassi restano a zero ancora ben oltre fine anno. Così come per molto tempo ancora la BCE continuerà a reinvestire man mano che i bond comprati verranno a scadenza. Tradotto: forse finisce il Quantitative Easing, certo non comincerà il Quantitative Tightening. Certo che, come ha notato BlackRock, il compito che ha davanti Mario Draghi è molto, ma molto più duro di quello che aspetta Jay Powell. Un’Europa che litiga su tutto tranne che sul fatto che Trump è brutto e cattivo (e anche su questo tema comincia a vedersi qualche crepa) non aiuta  SuperMario a far tenere la rotta a un’economia che potrebbe sprizzare di salute, ma la cui fiducia è minata dalle incertezze, per non dire dal caos, della politica.

UNCLE JAY IN SCIOLTEZZA


Intanto a Washington Jay Powell porta in leggerezza i tassi al 2%,  prepara a un altro paio di rialzi prima di Natale e punta alla ‘neutralità’ monetaria nel 2019, che tradotto in numeri vuol dire Fed Funds poco sotto il 3% con un’inflazione che viaggia al 2% o appena sopra. Lo scenario non potrebbe essere più favorevole per ‘Uncle Jay’ come lo chiamano affettuosamente i blogger americani per il suo modo di fare un po’ taciturno ma bonario, almeno apparentemente. In conferenza stampa si è concesso il lusso di accompagnare la notizia del rialzo parlando di economia ‘in gran forma’ con un mercato del lavoro mai così in salute da una cinquantina d’anni e la disoccupazione che punta a scendere al 3,5% l’anno prossimo. A differenza della sua predecessora Janet Yellen, Jay parla poco e usa termini semplici, che tutti possono capire. E soprattutto tiene le carte coperte, anche se dice che la Fed vuol essere sempre più ‘aperta’ nella sua comunicazione.

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PIU' CONFERENZE, MENO CERTEZZE


Dall’anno prossimo terrà una conferenza stampa ad ogni riunione del FOMC, non a volte alterne come dal 2011 in poi. In questo modo toglierà ai mercati un’importante carta per indovinare le sue mosse. Finora infatti i rialzi (o i ribassi) del costo del denaro erano considerati possibili solo nelle riunioni seguite da conferenze stampa, dal 2019 sarà più difficile indovinare. In qualche modo si torna ai tempi di Alan Greenspan, che di conferenze stampa non ne faceva. Farle sempre ottiene lo stesso risultato, costringe il mercato a tirare a indovinare.
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